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Il glioblastoma multiforme, una sfida aperta alla ricerca di terapie efficaci

3 giugno 2021

Il glioblastoma multiforme, una sfida aperta alla ricerca di terapie efficaci
Il glioblastoma multiforme è un tumore del sistema nervoso centrale, piuttosto diffuso e molto aggressivo, la cui natura eterogenea rappresenta una sfida alla terapia. E’ uno dei tumori con il più elevato tasso di morbilità e mortalità, con appena il 5% circa di sopravvissuti a cinque anni dalla diagnosi. La terapia farmacologica è ancora molto legata alla chemioterapia ma ci sono molti nuovi approcci al trattamento, che potrebbero migliorare le prospettive di cura dei pazienti.

Qual è la terapia standard?

Il trattamento standard prevede la resezione chirurgica, come prima linea di intervento, seguita da radioterapia e chemioterapia. L’invasività e la localizzazione del tumore in aree del cervello deputate al controllo della parola, delle funzioni motorie e dei sensi rendono complessa la resezione chirurgica. Tuttavia, quanto maggiore è l’estensione dell’area asportata, tanto più alta è la probabilità di sopravvivenza dei pazienti.

Dopo la resezione chirurgica, si attendono alcune settimane prima di iniziare la radioterapia postoperatoria, spesso associata con un agente chemioterapico come il temozolomide (TZM).

Perché mettere insieme chirurgia, radioterapia e chemioterapia?

Dopo la resezione chirurgica della massa tumorale, l’uso combinato di radio- e chemio-terapia ha evidenziato una maggiore efficacia rispetto alla sola radioterapia. Il temozolomide è un profarmaco, approvato dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) nel 2010 per la terapia standard del glioblastoma.

Grazie alle sue caratteristiche chimiche, è una molecola capace di attraversare la barriera ematoencefalica, ovvero quella struttura che protegge il cervello da sostanze che possono essergli potenzialmente nocive, impedendo il loro ingresso. Per lo stesso motivo viene ampiamente utilizzato anche nel trattamento dei gliomi.

Il temozolomide agisce modificando il DNA delle cellule tumorali con la conseguenza dell’arresto del loro ciclo replicativo e conseguente morte mediante un processo chiamato apoptosi.

Quali altri farmaci oltre al temozolomide?

Altri farmaci utili nel trattamento del glioblastoma sono gli agenti alchilanti della classe delle nitrosouree, come lomustina, carmustina e fotemustina. Questi farmaci sono in grado di modificare chimicamente il DNA delle cellule tumorali, in particolare con un processo chiamato alchilazione, causando un danno che induce la morte della cellula.

Anche nel caso degli agenti alchilanti, le caratteristiche chimiche consento di agire a livello del sistema nervoso centrale permettendo loro di attraversare la barriera ematoencefalica.

Purtroppo, non sono così selettivi da riconoscere e colpire unicamente le cellule tumorali e lo fanno anche su quelle sane. Questo comporta un profilo di tossicità importante e il loro uso richiede attenzioni particolari, inclusa l’interruzione del trattamento, la riduzione della dose o la scelta di terapie alternative.

Tuttavia, grazie a queste terapie, oltre il 70% dei pazienti che presentano le caratteristiche per il loro impiego sopravvive a un anno dalla diagnosi.

Cosa può fare la terapia a bersaglio molecolare?

L'avvento della terapia molecolare mirata, con la possibilità di colpire bersagli specifici, importanti per la regolazione della proliferazione cellulare e per i processi che promuovono la crescita tumorale, ha aperto nuove possibilità anche per il trattamento dei glioblastomi.

Tra questi farmaci il bevacizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato che blocca il fattore di crescita VEGF, è stato approvato in Canada, Stati Uniti, Svizzera e in molti altri Paesi al di fuori dell'Unione Europea, per trattare alcune forme di glioblastoma.

Bevacizumab è un farmaco in grado di inibire l’angiogenesi, cioè un processo mediante il quale si formano nuovi vasi sanguigni che servono al tumore per nutrirsi, sopravvivere e crescere.

Solitamente, viene impiegato in pazienti con tumori di grandi dimensioni che non possono sottoporsi a radioterapia. Come per altri farmaci antitumorali anche il suo utilizzo è stato associato ad un’elevata incidenza di eventi avversi.

Tra le terapie molecolari mirate, recentemente è stato approvato il trattamento con regorafenib per la cura del glioblastoma recidivante. Anche regorafenib, una piccola molecola di sintesi chimica, agisce bloccando i processi di angiogenesi con conseguente modificazione del microambiente tumorale in cui crescono le cellule tumorali che così vengono indotte a morire.

In Italia, dal dicembre 2019, è inserito nell'elenco dei farmaci erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale per i pazienti che vanno incontro alla prima recidiva di glioblastoma, successivamente al trattamento adiuvante con radioterapia e chemioterapia con temozolomide.

Il contributo della fisica alla terapia del glioblastoma

Accanto alla terapia con temozolomide e radioterapia, alcuni Paesi Europei hanno approvato per il trattamento dei tumori l’uso di Optune®, un dispositivo che genera campi elettrici.

Si tratta di una tecnologia che applica alle cellule tumorali campi elettrici alternati, a bassa intensità e frequenza intermedia. Analogamente a quanto fa il temozolomide, i campi elettrici causano danni al DNA delle cellule tumorali e portano all’arresto della divisione cellulare inducendo la morte per apoptosi. Sembra inoltre che l’associazione di temozolomide e Optune® aumenti le aspettative di vita dei pazienti, come alcuni studi hanno dimostrato.

Il dispositivo Optune® attualmente è autorizzato in Germania, Austria e Svezia, Israele, Stati Uniti e Giappone. In Germania, Israele e negli Stati Uniti il trattamento viene rimborsato dal sistema sanitario. I pazienti italiani possono utilizzarlo privatamente su prescrizione medica.

Cosa c’è all’orizzonte? Quali nuove frontiere nella terapia di questo tumore?

Tra le terapie in sperimentazione c’è l’immunoterapia, per colpire selettivamente le cellule tumorali mediante l’innesco della risposta immunitaria del paziente. L’immunoterapia comprende tre tipologie di intervento terapeutico: gli inibitori del checkpoint immunitario (ICI), i vaccini terapeutici e la terapia virale oncolitica.

Gli inibitori del checkpoint immunitario sono farmaci in grado di stimolare il sistema immunitario perchè bloccano le molecole che impediscono ai linfociti T di attaccare le cellule tumorali. La sperimentazione sulla combinazione di ICI con altre terapie, sulla corretta sequenza di trattamento e sull'identificazione di una popolazione di pazienti che possano trarne il massimo beneficio sta mostrando promettenti progressi per la cura del glioblastoma.

I vaccini terapeutici rappresentano una forma di immunoterapia attiva, in grado di stimolare la risposta contro antigeni associati al tumore, analogamente a quanto fa qualsiasi vaccino.

I virus oncolitici invece sono dei virus capaci di riconoscere e entrare all’interno delle cellule tumorali causandone poi la morte. Agiscono attraverso diversi meccanismi. Alcuni sono capaci di indurre il sistema immunitario contro il tumore mentre altri esercitano un’azione oncolitica diretta. Possono anche essere associati alla radioterapia e alla chemioterapia. I risultati degli studi clinici dimostrano che l’associazione con questi virus ha una migliore efficacia terapeutica rispetto ai singoli trattamenti. Ancora non è stato approvato alcun virus oncolitico per il glioblastoma, ma sono in corso molti trial clinici in diverse fasi della sperimentazione che potrebbero aprire presto nuove possibilità per i pazienti affetti da glioblastoma.1

 

Riferimenti bibliografici:

1 M. Martikainen and M. Essand, “Virus-based immunotherapy of glioblastoma,” Cancers, vol. 11, no. 2. MDPI AG, Feb. 01, 2019, doi: 10.3390/cancers11020186.

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