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Psoriasi: molto più di una malattia della pelle

3 settembre 2020

Psoriasi: molto più di una malattia della pelle
La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica, storicamente considerata una condizione della pelle e clinicamente caratterizzata da placche eritomatose squamose. Tuttavia, la psoriasi è molto più di questo: è una malattia sistemica multiforme che affligge i pazienti con una considerevole sofferenza fisica, psicologica e sociale.

Cosa sappiamo oggi della psoriasi?

La psoriasi è una complessa patologia infiammatoria cronica, mediata dal sistema immunitario, con un’eziologia multifattoriale e una forte predisposizione genetica, caratterizzata da un’eccessiva proliferazione dei cheratinociti.

Colpisce il 2-4% della popolazione nei paesi occidentali, con tassi di prevalenza influenzati dall’età e dalla localizzazione geografica1.

La severità della malattia è in parte definita dall’area della superficie corporea totale coinvolta: lieve (inferiore al 3%), moderata (tra il 3% e il 10%), e severa (superiore al 10%)2.

Tuttavia, la psoriasi può essere “severa” indipendentemente dall’entità dell’area di superficie corporea totale coinvolta, in particolare se si accompagna a serie conseguenze emozionali, o se si manifesta in siti come mani, piedi, cranio, viso, area genitale, o ancora quando provoca un prurito intrattabile.

Negli ultimi vent’anni, la migliore comprensione della patofisiologia della psoriasi ha consentito lo sviluppo e la rapida evoluzione di immunoterapie mirate, come i farmaci biologici, che esercitano le loro azioni terapeutiche bloccando specifiche citochine critiche per l’infiammazione psoriasica o i loro recettori.

La psoriasi ha diverse forme e un’origine complessa

La recente classificazione proposta dal Consiglio Internazionale della Psoriasi3 (International Psoriasis Council) identifica quattro forme principali di psoriasi: a placche, guttata, pustolosa generalizzata ed eritrodermica.

La psoriasi a placche (o vulgaris) riguarda l’85% - 90% dei pazienti affetti e costituisce la forma più comune di psoriasi. È caratterizzata da placche di forma irregolare o ovale, rosse, nettamente demarcate, ricoperte da squame argentate.

Le placche si trovano principalmente sulla superficie dei gomiti e delle ginocchia, sul cuoio capelluto e nella parte bassa della schiena, ma possono interessare ogni area del corpo, spesso distribuite simmetricamente1.

La malattia si manifesta come risultato dell’interazione tra fattori genetici e fattori scatenanti (triggers).

Tra le regioni geniche di suscettibilità che conferiscono il rischio di sviluppare la psoriasi, la più nota è denominata PSORS1. La componente genetica costituisce la base per lo sviluppo della malattia.

Successivamente entrano in gioco i fattori scatenanti che ne permettono l’accensione, risultando, alla fine, nella manifestazione clinica conclamata.

Sono stati identificati diversi fattori scatenanti, tra cui: traumi, obesità, infezioni (in particolare da streptococchi e stafilococchi, ma anche da virus come il papillomavirus e l’HIV), la luce del sole (in particolare la luce UV), lo stress, alcuni fattori endocrini e alcuni farmaci (tra questi, in particolare beta-bloccanti, antibiotici, FANS)1.

Come si arriva alla formazione delle placche?

La patogenesi della psoriasi è complessa e non completamente chiarita.

Un ruolo centrale è svolto da un’eccessiva attivazione del sistema immunitario adattativo1. Tutto sembrerebbe cominciare con l’attivazione di alcune cellule del sistema immunitario, le cellule dendritiche, che rispondono in maniera inappropriata ad antigeni “self”, che sono normalmente ignorati.

Le cellule dendritiche attivate cominciano a produrre numerose citochine, tra cui IL-12 e IL-23, che a loro volta promuovono l’espansione di alcuni tipi particolari di linfociti T denominati Th1 e Th17.

Le cellule Th17 sono fondamentali nell’immunopatogenesi della psoriasi e producono esse stesse citochine che stimolano la proliferazione dei cheratinociti, come IL-17, o a carattere pro-infiammatorio, come TNF-alfa.

La sequenza di queste tappe ha come risultato l’iperproliferazione dei cheratinociti, cui consegue la formazione delle placche ben demarcate della psoriasi e la creazione di un ambiente pro-infiammatorio.

Alla fine di questo processo, i cheratinociti producono sostanze che agiscono sulle cellule dendritiche, chiudendo così il circuito e causando un’infiammazione perpetua che si autoalimenta1.

Le manifestazioni cutanee non sono le sole cui occorre prestare attenzione

Nella popolazione psoriasica possono sussistere numerose e rilevanti co-morbidità.

La loro presenza determina la scelta della terapia, che deve trattare l’intera malattia e non unicamente le manifestazioni cutanee. Circa un terzo dei pazienti affetti da psoriasi sviluppa l’artrite psoriasica nell’arco della vita.

L’artrite psoriasica è caratterizzata da rigidità, dolore e gonfiore dell’articolazione interessata e può progredire fino all’erosione e alla perdita della funzionalità delle aree colpite.

Altre co-morbidità che hanno un impatto significativo sono la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari, l’obesità, il diabete mellito di tipo 2, la malattia infiammatoria intestinale; molto rilevante è anche l’impatto psicologico della psoriasi che può portare a depressione, ansia, comportamenti suicidi e assunzione di sostanze d’abuso.

Numerose co-morbidità della psoriasi sono influenzate anche dai comportamenti personali e dallo stile di vita. Per esempio, il fumo può essere associato con un aumentato rischio di sviluppare psoriasi e con un grado più severo della malattia.

Già solo smettendo di fumare si osserva un progressivo declino della severità della malattia. Analogamente, la psoriasi peggiora all’aumentare dell’ingestione di alcol; ciononostante, i pazienti affetti da psoriasi, rispetto ad altri, tendono a consumarne maggiori quantità4.

Come si gestisce la terapia della psoriasi?

L’attuale visione della patogenesi della psoriasi stabilisce che l’aberrante risposta immunitaria ed epidermica che sostiene questa patologia è guidata principalmente dalla molecola pro-infiammatoria TNF-alfa e dall’asse IL-12, IL-23 e IL-17; queste molecole costituiscono i principali bersagli terapeutici1.

La gestione farmacologica della psoriasi dipende dalla gravità della malattia.

Nella psoriasi da lieve a moderata la scelta primaria è costituita dai farmaci per uso topico.

Tra questi i più usati sono i corticosteroidi topici, che applicati localmente esercitano effetti anti-infiammatori e antiproliferativi; la scelta dell’agente maggiormente appropriato per il sito corporeo da trattare e l’aderenza del paziente alla terapia, determinano la loro efficacia.

Essi possono essere usati insieme ad analoghi della vitamina D per uso topico (ad es. calcipotriolo o calcipotriene che bloccano la proliferazione dei cheratinociti) o ad agenti cheratolitici (ad esempio tazarotenone e acido salicilico che inibiscono la proliferazione dei cheratinociti e favoriscono la riduzione delle spesse squame della placche); i corticosteroidi topici spesso si trovano già combinati con gli altri agenti in un’unica formulazione, il cui uso assicura minori effetti avversi e una remissione superiore a quella ottenibile con i singoli agenti in monoterapia.  

Nella psoriasi da moderata a severa, i farmaci topici sono impraticabili (per l’ampia superficie corporea coinvolta) e inefficaci. In questi casi la fototerapia e i farmaci sistemici non-biologici si sono rivelati trattamenti utili (vedere in seguito).

Tuttavia, negli ultimi 10 anni, i farmaci biologici sono diventati rapidamente degli strumenti di importanza primaria, basti pensare che dal 2004 ne sono stati approvati più di 10, e rappresentano l’avanzamento terapeutico più significativo in campo dermatologico.

Essi hanno come bersaglio le varie citochine responsabili delle manifestazioni della psoriasi come TNF-alfa, IL-12, IL-23 e IL-17.

Questi agenti condividono la necessità di essere somministrati per via parenterale (la maggior parte per via sottocutanea) e una serie di effetti avversi comuni, tra cui reazioni nel sito di iniezione, nasofaringiti e infezioni del tratto respiratorio.

Gli anticorpi monoclonali infliximab, adalimumab e certolizumab e la proteina di fusione etanercept sono tutti inibitori di TNF-alfa e costituiscono la prima classe di farmaci biologici introdotti per la terapia della psoriasi.

Essi bloccano il TNF-alfa e diminuiscono la cascata infiammatoria a valle dell’azione di questa citochina; hanno un buon rapporto efficacia/sicurezza.

Ustekinumab invece, è l’unico anticorpo monoclonale che inibisce contemporaneamente IL-12 e IL-23 ed ha un’eccellente efficacia sulla psoriasi e sull’artrite psoriasica.

Vi sono poi altri anticorpi monoclonali (guselkumab, tildrakizumab e risankizumab) che, inibendo specificamente solo la citochina pro-infiammatoria IL-23, riducono le attività dei linfociti Th17.

L’ultima classe di farmaci biologici per il trattamento della psoriasi è costituita dagli inibitori della citochina pro-infiammatoria IL-17, o del suo recettore, secukinumab, ixekizumab, bimekizumab e brodalumab, caratterizzati da rapido esordio dell’azione e da una robusta risposta5.

I nomi di tutti questi farmaci sembrano davvero improbabili, tuttavia non sono solo il frutto di una fantasia incontrollata. Essi, infatti, racchiudono anche delle radici (desinenze o morfemi) che aiutano a ricordare il bersaglio della loro azione e la fonte da cui provengono.

A parte queste curiosità sulla loro nomenclatura, questi farmaci hanno davvero rivoluzionato il trattamento della psoriasi raggiungendo risultati impareggiabili: la riduzione completa o quasi delle lesioni cutanee, improponibile fino a una decina d’anni fa, è ora un obiettivo raggiungibile1.

Qual è il ruolo della fototerapia e degli agenti sistemici non-biologici?

Fototerapia e farmaci sistemici non-biologici (come metotrexato, apremilast, ciclosporina) hanno costituito l’unico armamentario terapeutico fino all’avvento dei farmaci biologici.

Oggi sono in gran parte soppiantati dall’avvento dei farmaci biologici, ai quali possono eventualmente essere abbinati.

Sebbene la luce del sole sia annoverata tra i fattori scatenanti, alcune lunghezze d’onda possono essere convenientemente impiegate per trattare le placche psoriasiche, principalmente la luce UV-B compresa tra 290 – 320 nm, o ristretta intorno a 311 nm.

Il trattamento richiede applicazioni costanti (2 – 3 volte/settimana) per qualche mese, da eseguirsi spesso in centri clinici. Purtroppo il disagio di doversi sottoporre così frequentemente per così lungo tempo alle sedute riduce l’aderenza alla terapia.

La fototerapia denominata PUVA (luce UV-A insieme a psoralene) è oggi invece raramente usata perché associata con un maggiore rischio di cancro della pelle (raggi UV-A e UV-B: si veda anche “Farmaci e fotosensibilià: quali medicine causano macchie sulla pelle dopo esposizione solare e cosa fare per evitarle”).

L’effetto della fototerapia sopprime la sintesi del DNA nei cheratinociti, porta a morte i linfociti e riduce la produzione di citochine pro-infiammatorie.

I farmaci sistemici non-biologici (agenti orali) per la psoriasi a placche (metotrexato, apremilast, ciclosporina) agiscono tutti contrastando il processo infiammatorio; l’acitretina invece è un derivato della vitamina A che interferisce con la crescita e la differenziazione delle cellule dell’epidermide.

In generale, questi agenti sono meno efficaci rispetto ai farmaci biologici. Possono, tuttavia, essere presi in considerazione per i pazienti che hanno accesso limitato ai farmaci biologici o che preferiscono ricorrere a terapie non-iniettive1,5.

Quale futuro nella gestione della psoriasi?

La psoriasi è una malattia complessa che può influenzare pesantemente aspetti fisici ed emotivi della vita dei pazienti, come le relazioni interpersonali, la partecipazione lavorativa e la sfera sessuale.

Sebbene i farmaci biologici abbiano permesso di raggiungere risultati senza precedenti, in molti casi la terapia resta inadeguata con pazienti non trattati o sottotrattati.

Diversi nuovi farmaci sono in fase di sviluppo e la ricerca si sta muovendo anche per identificare biomarcatori che definiscano sottogruppi di pazienti con caratteristiche ben definite di fisiologia e di patologia per un approccio verso un trattamento più personalizzato.

Inoltre, l’introduzione di biosimilari dei farmaci biologici (già disponibili per etanercept, infliximab e adalimumab) sta cambiando radicalmente l’accesso a questi trattamenti e aiuterà a ridurre il numero di pazienti sottotrattati.

In parallelo, gli studi post-registrativi sui farmaci abitualmente impiegati, continueranno a fornire dati riguardanti la sicurezza e l’efficacia, contribuendo così a consolidarne l’uso e consentendo ai medici prescrittori di diventare sempre più confidenti e familiari con il loro utilizzo.

Il medico ha un ruolo centrale nella scelta della terapia, che però non andrebbe individuata unicamente sulla base della sua severità e della sicurezza del farmaco.

È, infatti, essenziale riconoscere e considerare il ruolo del paziente e delle sue preferenze per conquistare e mantenere il comune obiettivo di soddisfazione del paziente e di aderenza alla terapia.

Il paziente deve quindi essere educato riguardo tutti gli aspetti e i rischi sia del trattamento, sia della non aderenza ad esso. Non da ultimo, vi è anche un aspetto di educazione dell’opinione pubblica che, attraverso una conoscenza sempre più approfondita di questa patologia e dei suoi molteplici risvolti fisici e psicologici, può contribuire a ridurre l’impatto sociale e lo stigma della psoriasi.

 

Bibliografia e Sitografia:

 

1 Disease – a – Month 2019; 65: 51-90. Doi: 10.106/j.disamonth.2018.06.001

2 J. Am. Acad. Dermatol. 2019; 80: 1029-1072. Doi: 10.1016/j.jaad.2018.11.057

3 https://www.psoriasiscouncil.org

4 J. Am. Acad. Dermatol. 2019; 80: 1073-1113. Doi: 10.1016/j.jaad.2018.11.058

5 JAMA 2020; 323: 1945-1960. Doi: 10.1001/jama.2020.4006

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