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1 febbraio 2008

Eroina sì o Eroina no

Documento della Società Italiana di Farmacologia (SIF)

Un commento del Prof. Paolo Nencini (Ordinario di Farmacologia, Università di Roma La Sapienza ) a seguito della pubblicazione di due brevi editoriali di Lancet: "Should heroin be prescribed to heroin misursers? NO" (McKerageney N.) e "Should heroin be prescribed to heroin misursers? YES" (Rehm & Fisher), apparsi sul BMJ del 30 gennaio 2008 (336: 71-72).

A quasi mezzo secolo dagli studi pionieristici di Dole e Nyswander, la somministrazione orale di metadone in dose singola giornaliera resta il cardine del trattamento farmacologico del soggetto dipendente da eroina da strada. Pur se strenuamente osteggiata da quegli operatori del settore che vedono nell’astinenza l’unico ed insostituibile obbiettivo della presa in carico di questo paziente, una ormai sterminata letteratura dimostra i benefici della terapia metadonica a mantenimento con alte dosi (maggiori di 60 mg/die) relativamente ad un ampio ventaglio di obbiettivi, primo fra tutti l’attesa di vita. Si ritiene infatti che in assenza del metadone, la mortalità tra gli eroinomani aumenterebbe di tre volte, almeno negli Stati Uniti. Eppure, un certo numero di tali pazienti non trae beneficio dal trattamento farmacologico, nel senso che abbandona la terapia metadonica oppure continua ad assumere eroina malgrado riceva un alto dosaggio dell’oppiaceo di sostituzione. Non è chiaro perché ciò avvenga e se cioè la mancata efficacia del trattamento sia il risultato della caoticità comportamentale che sovente affligge questi pazienti, oppure debba essere imputata a differenze endofenotipiche, oggi attivamente valutate anche nel paziente eroinomane. Comunque sia, nel paziente eroinomane non rispondente al metadone non appare di particolare beneficio nemmeno l’altro farmaco oggi impiegato nella terapia sostitutiva, la buprenorfina. 
Alla luce di questi fatti, circa 15 anni fa, Uchtenhagen e collaboratori hanno condotto in Svizzera uno studio comparativo di efficacia dell’eroina somministrata in ambiente sanitario rispetto al metadone e alla morfina, considerando come end points, non solo l’interruzione dell’assunzione di eroina da strada, ma una serie di parametri di benessere sanitario e di buon funzionamento psico-sociale. I risultati di questo studio hanno portato le autorità svizzere, anche con il conforto di un referendum popolare, ad introdurre l’eroina come trattamento di seconda linea nei pazienti non rispondenti al metadone. A seguire sono arrivati gli studi olandesi e tedeschi che hanno sostanzialmente confermato l’efficacia dell’eroina nel controllare il comportamento tossicomanico in soggetti che avevano ripetutamente fallito con il trattamento metadonico. Infine, un più recente studio suggerisce che l’eroina si mantiene efficace anche somministrata oralmente, cosa che, se confermata da ulteriori studi, permetterebbe di evitare gli inconvenienti e i pericoli della somministrazione endovenosa.
Insomma, la somministrazione controllata dell’eroina appare restituire un’accettabile funzionalità psico-sociale ad una tipologia di paziente particolarmente recalcitrante. Anche se poco o nulla sappiamo circa l’endofenotipo “eroinomane resistente al metadone”, il dato empirico dovrebbe essere sufficiente a fare accettare l’eroina come farmaco di secondo scelta in questa patologia. Del resto è ciò che regolarmente accade in altri campi della medicina. Ma l’eroina non è un farmaco qualsiasi: nomen omen, come dicevano i latini e forse non è un caso che in Gran Bretagna l’eroina è regolarmente impiegata come analgesico, ma con il nome di diamorphine. Ci si può facilmente rendere conto di quanto la somministrazione controllata di eroina sia solo in parte un semplice problema clinico, leggendo le due, contrapposte, opinioni sulla questione pubblicate dal BMJ sotto il titolo “Should heroin be prescribed to heroin misusers?” (Rehm J, Fischer B) Should heroin be prescribed to heroin misusers? Yes. BMJ. 2008 Jan 12;336(7635):70). La risposta affermativa è sostenuta da due ricercatori canadesi attraverso gli argomenti precedentemente esposti e il fatto stesso che se ne debba discutere meraviglia molto gli autori: “The above summary makes the recent use of heroin assisted maintenance treatment look like a straightforward scientific success story, and not like a topic for debate in the BMJ”: altamente condivisibile, a mio parere. La risposta negativa, sostenuta da un altrettanto autorevole esperto, ci riporta invece al problema di quali debbano essere gli obbiettivi da conseguire nel trattamento dell’eroinomane da strada: “Prescribing heroin to heroin addicts, however, makes sense only if your primary concern is to treat not their drug dependency but the consequences of their drug use.” Al contrario, con “the right services in place it is possible to do more than simply stabilise addicts’ continued drug use through the prescribing route.” Il problema consiste nel fatto che il lavoro di questi right services ha come risultato non più di un 30% di soggetti astinenti a due anni di distanza dall’inizio del trattamento. E gli altri? Di nuovo, non sarebbe meglio che anche i recalcitranti abbiano una ulteriore possibilità di stabilizzare i loro comportamenti in attesa di un possibile processo di maturazione che allontani il soggetto dall’eroina? 
Per noi italiani, tutto ciò è comunque pura accademia: chi scrive ha presentato, assieme ad alcuni operatori del settore, una proposta di studio pilota di somministrazione controllata di eroina in soggetti non rispondenti al metadone. Ciò avveniva quasi dieci anni fa e, malgrado le numerose sollecitazioni, mai ci è giunta risposta dalle competenti autorità. Nomen omen, appunto. 

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