Nel dicembre del 2013 la rivista Science decise di mettere l'immunoterapia, come nuova ed efficace strategia anticancro, al primo posto nella lista delle dieci innovazioni scientifiche dell'anno. Da allora, i farmaci immunoterapici impiegati in oncologia hanno compiuto grandi passi in avanti, diventando sempre più evoluti e sempre più determinanti nel trattamento di molti tipi di tumori.
In questi ultimi anni, il progresso delle conoscenze dei meccanismi molecolari che guidano la risposta del sistema immunitario contro le cellule tumorali ha consentito lo sviluppo clinico di nuovi farmaci immunologici per la cura dei tumori. Tra questi, troviamo le citochine immunostimolatorie e la terapia cellulare ingegnerizzata, più nota come terapia con cellule CAR-T. Quest'ultima, in particolare, rappresenta una modalità di trattamento immunologico molto efficace contro diverse neoplasie ematologiche refrattarie alle terapie standard e, allo stesso tempo, si è rivelata davvero promettente anche per i tumori solidi.
IL RUOLO DEI CHECKPOINT IMMUNITARI
"Tuttavia, la differenza la fanno gli inibitori dei cosiddetti checkpoint immunitari, sviluppati in base alle conoscenze dei meccanismi di attivazione e di regolazione dei linfociti T citotossici: si tratta di anticorpi monoclonali che agiscono sbloccando l’attività di questi linfociti con attivazione della loro funzione citotossica nei confronti delle cellule tumorali", spiega il Prof. Enrico Mini dell'Università di Firenze durante il 41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia (SIF), in programma a Roma fino a sabato.
Questi farmaci sono diventati parte del trattamento standard per oltre 20 tipi diversi di tumore.
In particolare, sono impiegati per la terapia di prima linea negli stadi avanzati nei seguenti casi: melanoma cutaneo, tumori polmonari, mesotelioma, carcinoma renale, carcinoma uroteliale, carcinomi esofageo e gastrico, epatocarcinoma, carcinomi del tratto biliare, carcinoma mammario triplo negativo, carcinoma della cervice uterina, carcinoma a cellule di Merkel, carcinoma cutaneo squamocellulare e, più recentemente, nel carcinoma colorettale. Inoltre, vengono impiegati per la terapia neoadiuvante pre-chirurgica e quella adiuvante post-chirurgica per varie neoplasie.
Prosegue il Prof. Mini: "Gli inibitori dei checkpoint immunitari sono particolarmente attivi nei tumori con alcune caratteristiche biologiche particolari, quali l'instabilità microsatellitare elevata (MSI-H) o la deficienza del 'mismatch repair' (dMMR), che portano a un numero molto elevato di mutazioni nel DNA delle cellule tumorali. Questa capacità è valsa, ad alcuni di essi, l’approvazione come farmaci cosiddetti agnostici, ovvero specifici per tumori caratterizzati da questo tipo di alterazioni molecolari, indipendentemente dall’istologia e dall’organo di origine della neoplasia".
L'IMMUNOTERAPIA PER CURARE IL CARCINOMA COLORETTALE
Tra questi, troviamo il carcinoma colorettale, una neoplasia molto frequente e letale, che presenta tipicamente queste alterazioni molecolari nel 5-15% circa dei casi.
"Il trattamento di questo tumore con pembrolizumab, nivolumab (con o senza ipilimumab) e dostarlimab è oggi uno standard - sottolinea - negli stadi avanzati refrattari alla chemioterapia e ad altri farmaci bersaglio-specifici, e con pembrolizumab anche all’inizio della malattia metastatica con ottimi risultati. Dati recenti mostrano che dostarlimab induce remissione patologica completa nel carcinoma rettale localmente avanzato suscettibile di terapia standard rappresentata da radio-chemioterapia e successivo intervento chirurgico".
Questi dati, pubblicati dall'autorevole rivista scientifica The New England Journal of Medicine, evidenziano come in vari pazienti non sia stato addirittura necessario procedere alle terapie standard sopramenzionate, grazie alla scomparsa della neoplasia con il solo trattamento immunologico.
"Sono, infine, in corso studi che valutano l’efficacia degli inibitori dei checkpoint immunitari negli stadi precoci di tumore del colon, ovvero dopo l'intervento chirurgico, a scopo adiuvante. Per questo tipo di terapia, anche se non abbiamo ancora risultati consolidati, è ragionevole prevedere che si possa giungere a risultati altrettanto positivi", conclude l'esperto Enrico Mini.