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Press / Un anno di COVID-19: con intasamento delle strutture fortissimo impatto su mortalità da altre patologie Studio BMJ: i ritardi nelle diagnosi hanno penalizzato di più malati di cuore e di tumori

11 marzo 2021

Un anno di COVID-19: con intasamento delle strutture fortissimo impatto su mortalità da altre patologie Studio BMJ: i ritardi nelle diagnosi hanno penalizzato di più malati di cuore e di tumori

Il Sistema Sanitario Nazionale italiano, quello più invidiato al mondo, non ha tenuto alle ondate di malati di COVID-19. Troppi gli interventi di chirurgia ed esami diagnostici rimandati che sono però costati un maggiore rischio di morte o di aggravamento di altre patologie non-COVID-19. Lo studio del British Medical Journal: una riduzione di oltre il 50% degli accessi in ospedale e ai dipartimenti di emergenza a partire dal marzo 2020. E ancora: posticipare di 8 settimane la chirurgia del tumore della mammella ha determinato un incremento del rischio relativo di morte del 17%, e del 26% posticiparla di 12 settimane.

La pandemia da SARS-CoV-2 ha sicuramente stravolto le nostre vite sotto tutti i punti di vista, economico, sociale oltre che sicuramente sanitario. Particolarmente critico risulta l’impatto sulla capacità dei sistemi sanitari di continuare a erogare i servizi essenziali, in un momento di sovraccarico emergenziale globale. Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) italiano, senza dubbio uno dei più invidiati al mondo, simbolo di garanzia e tutela universale, si è ritrovato, purtroppo, nell’impossibilità di poter mantenere i servizi preventivi e di cura per far fronte alla domanda crescente di pazienti affetti da COVID-19 nonché alla carenza di personale, dovuta anche ai contagi tra gli operatori sanitari, in particolare nella prima fase. Comincia così il racconto del Professor Filippo Drago, dell’Università degli Studi di Catania e componente dell’unità anti-crisi COVID-19 della Società Italiana di Farmacologia (SIF), a Congresso fino al 13 marzo.


Gli interventi di chirurgia elettiva (interventi programmati) sono stati aboliti, soprattutto per l’affanno delle terapie intensive e la saturazione dei posti a disposizione, e «in diversi ospedali l’accesso per visite ambulatoriali non urgenti è stato centellinato anche per ridurre la circolazione del virus – spiega Drago –. A questo si è aggiunto il timore della popolazione di contagiarsi, portando gli stessi ammalati a non raggiungere gli ospedali, anche in caso di urgenza». 


Tutto ciò ha contribuito a far registrare un calo spaventoso degli accessi ai servizi di emergenza-urgenza, con un pericoloso impatto indiretto sulla mortalità e morbilità per altre patologie, in primo luogo cardiovascolari (come infarto e ictus). «La società europea di cardiologia (European Society of Cardiology, ESC) – continua il Professore – ha definito l’effetto del COVID-19 sulla salute cardiovascolare come la ‘Nuova ondata pandemica’ che porterà a un incremento di morte e disabilità che potenzialmente poteva essere prevenuto». Uno studio condotto su 9 ospedali del Regno Unito, pubblicato nell’ottobre 2020 sul British Medical Journal (BMJ), ha evidenziato una riduzione di oltre il 50% degli accessi in ospedale e ai dipartimenti di emergenza a partire dal marzo 2020 e rispetto agli anni precedenti. In particolare, una notevole riduzione hanno subito le procedure per patologie cardiovascolari, come l’impianto di bypass aorto-coronarici, l’endoarterectomia della carotide e la riparazione di aneurismi. 


Notevole attenzione merita anche il tema dei ritardi nella diagnosi e trattamento delle patologie oncologiche. «È stato dimostrato, infatti, che i pazienti a cui viene rimandato il trattamento di una patologia neoplastica (chirurgia, terapia sistemica farmacologica e/o radioterapia), anche solo di un mese, possono presentare un incremento relativo della mortalità rispetto al rischio di chi riceve il trattamento in tempi adeguati». I dati, pubblicati sul BMJ, derivano da un’analisi sistematica condotta su 34 studi per valutare l’impatto dei ritardi, dalla diagnosi al primo trattamento, o dal completamento di un trattamento all’inizio del successivo, per sette forme di tumori (vescica, mammella, colon, retto, polmone, cervice, testa-collo). Posticipare di 8 settimane la chirurgia del tumore della mammella ha determinato un incremento del rischio relativo di morte del 17%, e del 26% posticiparla di 12 settimane. 


Si tratta solo di alcuni esempi, che ben spiegano l’impatto che ha avuto la pandemia sulla diagnosi, il trattamento e la gestione dei pazienti affetti da malattie croniche. La conclusione della prima ondata aveva dato speranza e fiducia, e consentito un ritorno alla normalità, anche sul piano dell’attività ospedaliera. Come ben sappiamo, alla prima ondata ne è seguita una seconda, dalla quale ancora stentiamo ad uscire.


In attesa che la vaccinazione di massa faccia il suo lavoro, ovvero consenta lo sviluppo di un’immunità di gregge, per lo meno nazionale, e mettendo in atto, al contempo, tutti gli sforzi necessari per evitare che le varianti tanto temute possano prendere piede, «è necessario operare grandi cambiamenti di sistema, che consentano una convivenza con il virus e una pseudo-normalità – chiude Drago –. Sicuramente, la strutturazione (o meglio ri-strutturazione) di un sistema territoriale efficiente, supportato anche da servizi di telemedicina, è fondamentale non solo per la gestione del paziente COVID-19 non ospedalizzato, ma anche per l’assistenza ordinaria a tutti i malati (cronici e acuti) e/o soggetti a rischio».

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