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Studi preclinici per mettere a punto un vaccino

Conoscere il microrganismo

I vaccini sono di tanti tipi (vaccino ad acidi nucleici, vaccino con patogeno intatto, vaccino a subunità). Per preparare un gran numero di vaccini, è necessario, prima di tutto, conoscere il DNA o l’RNA presente nel microrganismo così che possiamo velocemente capire quali proteine e, indirettamente, quali polisaccaridi sono prodotti dal microorganismo.

Conoscere tutto il DNA/RNA di un virus è più semplice che conoscere quello di un batterio perché il virus è più piccolo e produce un numero relativamente piccolo di proteine. Infatti, conosciamo già l’RNA di SARS-CoV-2. Poi bisogna conoscere bene la biologia e la struttura del microorganismo e come causa la malattia. Cruciale è anche sapere come il virus entra nell’organismo1 (Cunningham et al. 2016). Da questo punto di vista siamo leggermente avvantaggiati perché SARS-CoV-2 è nuovo, ma fa parte di una famiglia di virus (Coronavirus, appunto) già studiata2.

Ottenere e testare i bersagli più interessanti

Per mettere a punto un vaccino a subunità (link) e un vaccino ad acidi nucleici (link) bisogna produrre le proteine o i polisaccaridi più “interessanti” del virus per studiarle e decidere quale prodotto utilizzare nel vaccino. Per fare questo è necessario modificare un microorganismo (ad esempio, lievito) in modo tale che produca queste prodotti e bisogna purificarli allontanando gli altri prodotti del microorganismo di cui ci siamo serviti. Questi passaggi hanno insidie tecniche e rimuovere gli ostacoli può richiedere studi di diverse settimane/mesi3.

Meno complicato è mettere a punto un vaccino che contenga RNA o DNA (che, introdotto nell’organismo, porterà le cellule dell’organismo a produrre una data proteina).
Per scegliere la proteina migliore (o il polisaccaride o il DNA/RNA che codifica per la proteina) da utilizzare nel vaccino, occorre che questa abbia almeno tutte le seguenti caratteristiche:
1) non cambiare facilmente quando il virus replica (cioè non mutare);
2) essere capace di stimolare la risposta immunitaria;
3) essere presente sulla superficie del microorganismo;
4) essere riconosciuta dal sistema immunitario quando è espressa dal virus;
5) essere stabile (non rovinarsi nel tempo che passa tra la produzione/purificazione e l’inoculo nell’essere umano).

I numerosi vaccini contro l’HIV preparati in questi anni hanno fallito in almeno uno di questi punti e per questo motivo non abbiamo ancora un vaccino contro questo virus. I coronavirus sono più semplici dell’HIV e quindi abbiamo fondate speranze che una composto del genere (che sia proteina, pezzo di proteina, polisaccaride o RNA) si possa trovare. È solo questione di tempo.

Scegliere l’adiuvante

La proteina/pezzo di proteina (detto peptide) o il polisaccaride deve essere miscelato con altre sostanze (adiuvanti) che stimolano la risposta del sistema immunitario1. Senza adiuvante questo tipo di vaccini non funziona. L’esperienza accumulata negli anni su questo aspetto è tanta e quindi la scelta potrebbe essere effettuata velocemente. Il tipo di risposta al vaccino dipende anche dalla via di somministrazione e, ovviamente, dalla dose del vaccino. La maggior parte di questi studi è sull’animale di laboratorio.

Testare il vaccino sull’animale di laboratorio

Quando viene preparato un nuovo vaccino, gli studi di efficacia sull’animale permettono di stabilire se il soggetto vaccinato col nuovo vaccino è protetto dall’infezione per cui è stato vaccinato (se, ad esempio, dopo il vaccino produce una sufficiente quantità di anticorpi anti-virus o ha in circolo linfociti T che reagiscono contro il virus).

Dopo gli studi sui roditori (topi e, eventualmente, ratti), nel caso dei vaccini contro il coronavirus si passa a studiare una specie di scimmia. Infatti le scimmie sono infettabili con SARS-CoV-2
Al termine degli studi pre-clinici, il vaccino deve essere sperimentato sull’uomo (studi clinici). Gli studi clinici sull’uomo sono assolutamente necessari per essere sicuri che il vaccino funzioni in quasi tutta la popolazione vaccinata, compresi, ad esempio, gli anziani o i pazienti immunodepressi (cioè quelli curati con farmaci che riducono le difese immunitarie o quelli con difetti genetici e malattie)4.

 

Riferimenti bibliografici

1 https://doi.org/10.1016/j.vaccine.2016.10.016
2 https://doi.org/10.3389/fimmu.2018.01963
3 https://doi.org/10.1038/nbt0905-1059
4 https://doi.org/10.1016/j.vaccine.2014.10.047