Perché la pandemia causata da SARS-CoV-2 può essere definita come una malattia rara?
Le malattie rare sono quelle definite da una bassissima frequenza tra la popolazione e di norma sono anche definite orfane in quanto essendo rare quasi mai ci sono farmaci specifici disponibili per il suo trattamento. Però, una nuova malattia come quella causata da SARS-CoV-2 (COVID-19), anche se colpisce migliaia di individui, ai fini dell’approccio terapeutico è come una malattia rara (orfana): non sono disponibili farmaci registrati per il suo trattamento che deve quindi affidarsi alle sparute evidenze scientifiche pubblicate in letteratura circa l’efficacia di farmaci utilizzati in off-label, cioè senza indicazione registrata.
Quindi quali caratteristiche hanno i farmaci scelti per la terapia della COVID-19?
Nel caso della polmonite da coronavirus si sta verificando lo stesso fenomeno. La terapia è costituita da farmaci senza indicazione specifica, selezionati sulla base di esperienze sporadiche o di studi clinici preliminari presenti nella letteratura scientifica.
Ma chi autorizza l’uso di farmaci per indicazioni non previste dalla indicazione registrata?
Sulla base di queste poche evidenze e in considerazione dell’emergenza sanitaria in atto, per la terapia della COVID-19 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato l’uso e approvato il rimborso di alcuni farmaci indicati per altre malattie, quali clorochina e idrossiclorochina (antichi farmaci antimalarici), l’associazione lopinavir/ritonavir e darunavir in combinazione con cobicistat o ritonavir (indicati per la terapia contro l'HIV), l'interferone beta 1-a nei soggetti non trattati con steroidi. Un farmaco che non ha ancora ottenuto l'autorizzazione per l’infezione da virus Ebola, il remdesivir, può essere utilizzato grazie ad un programma di uso compassionevole.
E l’indicazione per farmaci che non sono antivirali come il tocilizumab?
L’AIFA ha autorizzato studi clinici che presentano il vantaggio di arruolare pazienti che rispondono a determinati requisiti, per specifici trattamenti.
Uno di questi studi riguarda l’efficacia di tocilizumab, un farmaco indicato per la terapia dell’artrite reumatoide, che sembra in grado di ridurre la compromissione polmonare nelle fasi più avanzate della malattia. Il trial è stato disegnato su due bracci: uno (detto di fase II) riguarda un numero prefissato di pazienti con sintomatologia meno grave, l’altro (detto "osservazionale") arruolerà pazienti con sintomatologia più grave.
L’azienda produttrice del farmaco, la Roche di Basilea, ha reso gratuitamente disponibile il farmaco per lo studio, ma l’enorme richiesta proveniente da tutte le Regioni ne ha messo in crisi il programma di distribuzione.
Ci sono altri farmaci studiati per trattare la sintomatologia causata dalla COVID-19?
Negli USA, l’autorità regolatoria ha autorizzato alcuni studi che utilizzano, anche in questo caso, farmaci già indicati per altre patologie: l’eculizumab (indicato per l’emoglobinuria parossistica notturna, la miastenia gravis e la neuromielite ottica), il fingolimod (per la sclerosi multipla), il sarilumab (per l’artrite reumatoide).
Come si vede, si tratta di medicinali che se dovessero dimostrare efficacia nell’infezione da coronavirus sarebbero riposizionati (processo chiamato di "drug repurposing") sulla nuova indicazione e potrebbero essere commercializzati in tutto il mondo per la terapia della COVID-19.
Che vantaggio ha effettuare test clinici con farmaci riposizionati "drug repurposing"?
Lo sviluppo di un farmaco anti-coronavirus con tale modalità potrebbe giungere al letto del paziente in tempi molto più brevi di quelli necessari per il completamento di studi su farmaci espressamente sviluppati per questa indicazione.
Non sarebbe, d'altronde, la prima volta che un farmaco già indicato per una specifica patologia ottenga una diversa indicazione sulla base di una procedura di "drug repurposing", che non deve quindi essere considerata una modalità che conduce all’approvazione di farmaci meno validi di quelli sviluppati secondo la procedura regolare.