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Vecchi e nuovi farmaci per il diabete di tipo 2

29 ottobre 2020

Vecchi e nuovi farmaci per il diabete di tipo 2
Il diabete di tipo 2 è una patologia metabolica che affligge oltre 3 milioni di persone in Italia. Tra i farmaci disponibili, la metformina è ancora tra i più utilizzati e considerato di prima linea nel trattamento a lungo termine.

Diabete di tipo 2: come curarsi

Il diabete di tipo 2 è causato da una riduzione dell’efficacia dell’insulina, l’ormone prodotto dal pancreas che ha come principale funzione quella di permettere l’ingresso del glucosio nei tessuti cosiddetti sensibili all’insulina, ovvero i muscoli e il tessuto adiposo.

Quando i muscoli non riescono ad avere un adeguato apporto di glucosio, fondamentale per la contrazione, il fegato rilascia del glucosio e stimola la sensazione di fame.

Nel caso del diabete anche dopo un pasto che determina un aumento dei livelli di glucosio nel sangue (detto anche glicemia) i muscoli non riescono ad incamerare il glucosio e si crea una condizione di fame costante.

Le alterazioni che sono alla base del diabete si instaurano in anni e per molto tempo vi può essere una condizione di compenso da parte dell’organismo per cui dei livelli di glicemia non troppo elevati possono essere gestiti con una dieta povera in carboidrati semplici (dolci, frutta, latte e derivati, bevande alcoliche e zuccherine) e con un aumento dell’attività fisica.

In molti casi però queste modifiche allo stile di vita del soggetto non sono sufficienti o risultano inefficaci e si instaura una condizione di diabete conclamato che necessita di intervento farmacologico.

I farmaci utilizzati sono raggruppati nella classe degli antidiabetici orali e comprendono: 

- Biguanidi

- Sulfoniluree

- Glinidi

- Glitazoni (o Tiazolidinedioni)

- Inibitori dell’enzima DPP-4

- Inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali

- Inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2  

Le biguanidi: ovvero la metformina

La metformina viene solitamente assunta dopo i pasti principali, agisce sul fegato potenziando l’efficacia dell’insulina in quanto inibisce il rilascio di glucosio da parte del fegato, ma soprattutto stimola il tessuto muscolare (e anche quello adiposo) ad incamerare il glucosio e ad utilizzarlo.

Nel muscolo abbiamo detto che il glucosio serve alla contrazione, mentre nell’adipe è responsabile della produzione di lipidi e dell’aumento delle dimensioni delle cellule adipose.

La metformina non stimola la produzione di insulina, ma i suoi effetti positivi sull’utilizzo del glucosio da parte delle cellule hanno anche dei risvolti protettivi nei confronti delle cellule del pancreas che producono insulina, prolungando così la sopravvivenza di queste cellule e la loro produzione di insulina.

Inoltre la metformina agendo sul fegato riduce la sensazione di fame e contribuisce alla riduzione del peso corporeo nei soggetti diabetici, che spesso sono anche obesi.

La metformina è un farmaco che solitamente non genera interazioni con altri farmaci, ma che può causare (nel 20-30% dei soggetti) lievi effetti avversi di tipo gastroenterico (gonfiore, dolore addominale, diarrea, sapore metallico).

Inoltre, proprio per il suo meccanismo di azione è un farmaco che solo raramente può causare una drastica riduzione della glicemia (ipoglicemia), tale da costringere il soggetto alla ospedalizzazione.

Nello studio clinico denominato UKPDS (UK Prospective Diabetes Study)1è stato dimostrato che la metformina riduce in modo significativo il rischio di sviluppare complicanze diabetiche e la mortalità per tutte le cause correlate con il diabete.

Nonostante lo studio sia stato pubblicato nel 1999 nessun farmaco, ad oggi, ha dimostrato la stessa efficacia, pertanto le linee guida per il trattamento del diabete raccomandano la metformina come terapia di prima linea, in aggiunta alle modifiche individuali dello stile di vita.

Tuttavia, il trattamento con la metformina oltre a reazioni avverse a livello intestinale, prevede 2 o 3 assunzioni giornaliere, aspetto che può causare la scarsa aderenza alla terapia da parte della persona diabetica e quindi la riduzione dell’efficacia del trattamento.

Pertanto, nonostante la metformina abbia dimostrato le sue potenzialità in termini di efficacia, le persone diabetiche non sempre riescono ad assumere dosi adeguate di farmaco e devono utilizzare altre classi di medicine.

Le sulfoniluree: glibenclamide, glimepiride e gliclazide

Le sulfoniluree sono dei farmaci che stimolano le cellule del pancreas ad aumentare la produzione di insulina. Di solito vengono assunte una volta al giorno, condizione che rappresenta un vantaggio rispetto alla metformina in termini di aderenza alla terapia da parte del paziente.

Di questi farmaci sono state sintetizzate 3 generazioni, che hanno effetti quasi identici tra loro.

La prima generazione include acetoxamide, carbutamide, clorpropamide, gliciclamide, metaexamide, tolazamide e tolbutamide.

Le molecole della seconda generazione sono glibenclamide, glibornuride, gliclazide, glipizide, gliquidone, glisoxepide e glyclopyramide.

Di ultima generazione è invece la glimepiride.

Le 3 generazioni differiscono nella durata di azione che è lunga nel caso della prima generazione, media nella seconda e breve nella terza. Chiaramente questo influisce sul numero di compresse giornaliere che si devono assumere, una normalmente per quelli di prima generazione e due o più per quelli di terza generazione.

Il meccanismo d’azione delle sulfoniluree è strettamente legato alla presenza di cellule nel pancreas che siano in grado di produrre adeguate quantità di insulina, in quanto stimolano il rilascio di insulina e di conseguenza anche la sua produzione.

Purtroppo tra gli effetti collaterali a lungo termine può manifestarsi una drastica riduzione della funzionalità e del numero di cellule pancreatiche, perché stremate dall’eccesso di produzione di insulina.

A breve e medio termine invece possono manifestarsi altri eventi avversi, come l’aumento di peso grazie alla capacità dell’insulina di agire sulle cellule adipose e condizioni di ipoglicemia, in quanto il farmaco agisce anche se i valori di glucosio nel sangue non sono elevati.

Infine, sono una classe di farmaci che sono responsabili di interazioni con moltissimi altri farmaci e quindi vanno usate con cautela se si assumono altre medicine. In particolare, bisognerebbe evitare di usare sulfoniluree se si fa uso di acido acetilsalicilico, allopurinolo, sulfonamidi, e fibrati.

Le glinidi: nateglinide e repaglinide

Delle glinidi in Italia è disponibile solo la repaglinide, questi farmaci si devono assumere per bocca 3 volte al giorno, quindi, come per la metformina ci può essere una scarsa aderenza alla terapia.

Il meccanismo d’azione delle glinidi è simile a quello delle sulfoniluree perché stimolano la produzione ed il rilascio di insulina da parte del pancreas, ma in maniera più rapida e meno duratura rispetto alle sulfoniluree.

Tra gli eventi avversi di questa classe di composti ricordiamo l’aumento di peso ed il rischio di ipoglicemie severe.

Glitazoni o Tiazolidinedioni

Di questi farmaci è rimasto in commercio in Italia solo il pioglitazione, mentre il rosiglitazone è stato ritirato per gravi effetti collaterali.

Il meccanismo d’azione di questi farmaci stimola l’utilizzo di lipidi da parte delle cellule, con un conseguente aumento dell’efficacia della insulina sulle cellule muscolari e adipose, effetto più marcato rispetto a quello della metformina.

Inoltre  aumentando l’utilizzo dei lipidi, aumentano il colesterolo HDL o “colesterolo buono” e riducono la pressione arteriosa. Tra gli effetti collaterali sono da segnalare l’aumento di peso corporeo o la ritenzione idrica.

Il pioglitazone è il farmaco che ha dimostrato una efficacia sulla riduzione della glicemia che non si riduce nel corso degli anni di trattamento ed inoltre tra gli altri vantaggi devono essere assunti per bocca una volta al giorno e non causano mai ipoglicemia.

Le gliptine: sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, linagliptin e alogliptin

Questa classe di farmaci comprende numerose molecole che si assumono per bocca 1-2 volte al giorno, e condividono un unico meccanismo d’azione, ovvero inibire l’enzima dipeptidil-peptidasi-4 (DPP4).

Questo enzima è responsabile della degradazione di alcuni ormoni intestinali (denominati GLP-1 e GIP) che stimolano la produzione di insulina.

Quindi l’inibizione della DPP-4 comporta un aumento della permanenza dell’insulina in circolo e di conseguenza la sua azione. Un vantaggio di questi farmaci è che l’effetto è strettamente dipendente dalla presenza di insulina e pertanto non causano ipoglicemia.

Altra nota positiva è che gli inibitori della DPP-4 non hanno effetti sfavorevoli sul peso corporeo né hanno interazioni con altri farmaci.

Inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2: canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin

Questa nuova classe di farmaci antidiabetici sono inibitori del trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 a livello renale. In breve il loro meccanismo di azione è di promuovere l’eliminazione del glucosio da parte del rene, riducendo così la glicemia.

Questo meccanismo ovviamente non promuove l’utilizzo del glucosio da parte del muscolo, ma piuttosto un suo “spreco” nelle urine e nel lungo periodo possono causare danni renali.

Tra gli effetti collaterali dovuti alla aumentata presenza di glucosio nelle urine c’è un aumentato rischio di infezioni batteriche e fungine delle vie urinarie.

Il vantaggio di questi farmaci è che non causano mai ipoglicemia, riducono il peso corporeo e la pressione arteriosa ed inoltre vengono assunti per bocca una volta al giorno.

 

Riferimenti bibliografici e sitografici

1     King P, Peacock I, Donnelly R. The UK prospective diabetes study (UKPDS): clinical and therapeutic implications for type 2 diabetes. Br J Clin Pharmacol. 1999;48(5):643-648. doi:10.1046/j.1365-2125.1999.00092.x

 

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