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La ricerca clinica durante la pandemia: un modello verso le terapie del futuro?

4 aprile 2022

La ricerca clinica durante la pandemia: un modello verso le terapie del futuro?
La ricerca clinica comprende tutti gli studi condotti nell’uomo per valutare l’efficacia e la sicurezza di nuovi farmaci, dispositivi medici, metodi diagnostici, con il fine di identificare nuove e migliori opportunità di assistenza e cura. Questi studi sono necessari affinché una nuova molecola possa essere commercializzata ma possono avere un ruolo anche dopo il suo ingresso sul mercato. La pandemia scatenata dal virus SARS-CoV-2 ha mostrato le debolezze intrinseche e la farraginosità del “vecchio” modello di studi clinici e accelerato un’iniziativa europea che ha lo scopo di “trasformare” gli studi clinici: le parole chiave sono semplificazione e digitalizzazione.

Abbiamo interpellato due esperti nel settore, il dott. Mario Mangrella, Direttore Medico Scientifico e degli Affari Regolatori dell’azienda farmaceutica Italfarmaco e il prof. Romano Danesi, professore ordinario di Farmacologia, Dirigente Medico UO Farmacologia Clinica Università di Pisa, per farci spiegare come l’esperienza acquisita durante la pandemia e le opportunità del PNRR possano essere sfruttate per transitare verso un modello di studi clinici più snello e rispondente alle domande che la medicina moderna deve soddisfare.

 

La ricerca clinica in Italia: cosa serve per migliorare

"L’Italia è un paese dove la ricerca clinica è molto attiva – ci racconta il prof. Danesi – grazie, anche, alla presenza di esponenti di spicco nel settore della medicina. Purtroppo, presenta anche sostanziali difficoltà da superare, per lo più a livello organizzativo e burocratico. La pandemia ha però dato un significativo impulso al cambiamento, costringendo a rivedere e riorganizzare le modalità di presentazione, conduzione e valutazione dei protocolli di studio, con ovvi benefici."

Tra i punti di debolezza possiamo citare "il numero dei comitati etici. Ne conseguono valutazioni talvolta difformi, ma anche tempi eccessivamente lunghi che determinano ritardi e difficoltà di reclutamento dei pazienti” aggiunge il prof. Danesi. È, inoltre, emersa chiaramente la necessità di incentivare gli studi post-registrativi, cioè quelli svolti dopo l’autorizzazione al commercio del principio attivo. È importante anche la stratificazione dei pazienti (cioè la loro divisione in gruppi con caratteristiche comuni e importanti ai fini del trattamento terapeutico), specialmente nell’area oncologica ed ematologica, che permettono l’applicazione di una terapia personalizzata."

 

Studi clinici: i rapporti tra i principali attori coinvolti

Stiamo parlando di accademia, industria e agenzie regolatorie: è dall’interazione tra queste tre entità che nasce la ricerca clinica dalla progettazione fino alla conduzione dello studio e pubblicazione dei risultati. "La pandemia ha fatto emergere e rafforzato l’importanza dei rapporti fra accademia e industria nella realizzazione di progetti di ricerca clinica e non clinica" afferma il dott. Mangrella. Anzi, ribatte, "tante idee di ricerca sono nate proprio durante il periodo di "lockdown" sotto la spinta della necessità di dare risposte in tempi brevi ai tanti interrogativi scientifici e clinici che il nuovo coronavirus poneva. Ciò ha portato non solo a valutare nuove opzioni terapeutiche, ma anche a studiare nel modo più preciso possibile il valore di farmaci "tradizionali" che hanno occupato e occupano un posto centrale nella gestione dell’infezione da CoViD-19. Anche noi, in Italfarmaco – prosegue Mangrella – abbiamo dialogato con gli attori impegnati nella ricerca clinica e sviluppato nuove idee in maniera rapida".

 

Ci può fare qualche esempio, dott. Mangrella?

È, per esempio, "il caso delle eparine a basso peso molecolare e, in particolare, di Enoxaparina (farmaco ad azione anticoagulante utile nel contrastare il processo tromboembolico tipico della malattia CoViD-19), di cui Italfarmaco produce e commercializza l’unico farmaco biosimilare prodotto in Italia. Siamo stati orgogliosi di supportare una serie di iniziative di ricerca clinica e non clinica, e di attività di educazione scientifica sul ruolo di Enoxaparina nel CoViD-19. Queste iniziative hanno trovato una coerente organizzazione nella piattaforma scientifica "GhemaVid", nella quale sono confluiti i diversi progetti che abbiamo condiviso e contribuito a realizzare per lo studio del rischio tromboembolico nel CoViD-19 in collaborazione con i centri accademici più avanzati e con gli esperti più autorevoli.

 

L’esempio paradigmatico di START-COVID

Tra i diversi studi clinici cui abbiamo partecipato, cito come esempio lo studio osservazionale indipendente START-COVID che, in tempi rapidissimi, ha fatto una "fotografia" dell’uso di Enoxaparina nei nostri ospedali durante la prima ondata pandemica e ha misurato il beneficio di questo farmaco nella gestione dei pazienti ricoverati, dimostrando per la prima volta in Italia una significativa riduzione della mortalità".

 

Supportare la ricerca clinica può essere sufficiente?

No – chiarisce ancora Mangrella. Infatti, "abbiamo anche ritenuto che, considerando la gravità e l’eccezionalità della situazione, la ricerca clinica non fosse sufficiente, ma occorresse uno sforzo su più fronti. È nato così il nostro supporto a sofisticati studi di ricerca farmacologica di base, come lo studio HEPDREIN dell’Istituto di Ricerche Chimiche e Biochimiche G. Ronzoni, che ha avuto l’obiettivo di documentare e quantificare l’effetto di Enoxaparina non solo come agente anticoagulante e antitrombotico, ma anche per il suo potenziale antivirale riconducibile alle proprietà farmacologiche di questa molecola". 

 

Come trasformare i risultati di queste ricerche in uno strumento utile nella pratica clinica?

All’interno della piattaforma "GhemaVid" – prosegue Mangrella -  "abbiamo previsto anche una parte comunicazionale che è stata dedicata alla realizzazione e alla diffusione ‘in tempo reale’ di una serie di video-tutorial pensati per la classe medica ed elaborati da alcuni fra i massimi esperti italiani di coagulazione e trombosi che, in quei terribili mesi, hanno lavorato con noi per mettere a fuoco i risultati degli studi che si andavano pubblicando e hanno contribuito a generare concetti e raccomandazioni utili alla pratica clinica". 

 

C’è la necessità di dialogare anche con le agenzie regolatorie?

Ovviamente. "Questi risultati non sarebbero stati raggiunti senza l’impegno delle autorità regolatorie, in particolare AIFA, che hanno costantemente garantito una rapida e accurata valutazione delle iniziative di ricerca sottoposte alla loro attenzione". Le Linee Guida pubblicate da AIFA per la gestione degli studi clinici in Italia in corso di emergenza CoViD-19 hanno dimostrato come sia necessaria un’adeguata organizzazione che permetta l’avvio rapido degli studi clinici e la loro conduzione ottimale per l’ottenimento di risultati di qualità.

 

Possiamo capitalizzare quello che abbiamo imparato dalla ricerca clinica su COVID-19 per tracciare un modello generale che si applichi anche ad altri ambiti e patologie?

"Il modello che abbiamo sviluppato non può che essere pratico" sostiene il dott. Mangrella. "La pandemia ci ha sfidato a trovare nel più breve tempo possibile soluzioni scientifiche applicabili e di valore. In genere, la fretta è una cattiva compagna della ricerca. Tuttavia, nel corso della pandemia abbiamo scoperto che la rapidità di analisi, combinata con il coinvolgimento dei più autorevoli esperti del settore in diversi ambiti (accademia, industria, agenzie regolatorie), fa la differenza. È possibile generare scienza in tempi rapidissimi, e cambiare la storia naturale di una malattia, ma c’è bisogno di un impegno multidisciplinare, come la pandemia ci ha insegnato".

 

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede l’utilizzo di fondi per lo sviluppo di strategie innovative per garantire la salute del cittadino. Quali sono le opportunità per la ricerca clinica? Sono fruibili e in che modo?

"Il ‘cuore’ sanitario del PNRR sta nel concetto di decentralizzazione delle cure". Ciò significa offrire assistenza sanitaria anche fuori dagli ospedali, aumentando l’efficienza e l’efficacia delle cure territoriali, soprattutto per gli anziani e disabili. "Penso – aggiunge Mangrella – che questo concetto vada combinato con quello di decentralizzazione della ricerca clinica. Grazie all’istituzione delle centrali operative territoriali (COT), degli ospedali di comunità e delle case di comunità, nuovi gruppi di professionisti – medici e infermieri – saranno dislocati sul territorio sempre più in prossimità del paziente. Questa nuova organizzazione rivoluzionerà l’assistenza sanitaria e favorirà la messa a punto e la realizzazione di iniziative di ricerca clinica concepite e gestite da questi professionisti sul territorio. La decentralizzazione ha un enorme potenziale in tutte le fasi della ricerca, dal reclutamento dei pazienti, alla gestione di visite anche complesse e di lunghi follow-up, e al coinvolgimento dei caregiver.

Inoltre, aggiunge su questo punto il prof. Danesi, "l'accademia e la ricerca indipendente in generale sono strumenti irrinunciabili per una ricerca che valorizzi l'iniziativa e lo spessore scientifico della ricerca in Italia e da questo punto di vista il PNRR potrebbe portare risorse per promuoverle opportunamente". Il PNRR rappresenta quindi una grande opportunità per l’innovazione nell’ambito della ricerca clinica: nuove risorse permetteranno un più rapido trasferimento dei risultati dell’innovazione scientifica alla pratica clinica. Affiancando all’innovazione modelli organizzativi efficienti sarà possibile consentire l’accesso rapido ed equo alle cure. 

 

Una delle parole chiave nella trasformazione degli studi clinici è digitalizzazione: in che modo gli strumenti di “digital health” possono contribuire a questo processo?

Ci risponde il dott. Mangrella: "la decentralizzazione delle cure deve essere abbinata con l’introduzione e l’uso di strumenti di digital monitoring, ad es. le cosiddette "wearable technologies" per una reale innovazione del modello di ricerca clinica. Basti pensare che, prima dell’introduzione delle nuove tecnologie di digital health, un elettrocardiogramma dinamico (Holter) o un monitoraggio dinamico della pressione arteriosa venivano effettuati, quando richiesti, solo in determinate specifiche occasioni nel corso dello studio clinico tradizionale e documentavano i dati clinici rilevati solo nell’arco di 24 ore. Oggi, invece, esistono dispositivi digitali indossabili (le wearable technologies), piccoli, comodi e poco costosi che registrano l’elettrocardiogramma e la pressione arteriosa in modo continuo per settimane, senza sostanziale impatto per il paziente, e trasmettono in tempo reale i dati al medico ovunque questi si trovi. La disponibilità delle nuove tecnologie digitali e dei dati che esse sono in grado di fornire pone il ricercatore e gli sponsor accademici e industriali di fronte a nuove opportunità".

 

Di questo e di molto altro si parlerà nella Tavola rotonda "Semplificazione e digitalizzazione della Ricerca Clinica: come impiegare l’esperienza acquisita durante la fase emergenziale e le opportunità del PNRR" in occasione del 14° Forum Pharma che si terrà a Roma dal 6 al 8 aprile 2022. Oltre agli intervistati Mario Mangrella e Romano Danesi, interverranno anche Giovanni Baglio, Donatella Gramaglia, Giuseppe Ippolito, Emanuela Omodeo Salè, Sandra Petraglia a rappresentare enti pubblici e privati di ricerca, della sanità e delle aziende del farmaco.

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