Di norma gli antibiotici (e i chemioterapici) sono classificati in base al loro meccanismo d’azione. Ci sono quelli che agiscono come antimetaboliti, mimano cioè elementi costitutivi per la vita della cellula batterica e la ingannano. Di questa classe fanno parte i sulfamidici e le diaminopiridine, entrambi batteriostatici, cioè bloccano la riproduzione dei batteri.
Altri antibiotici agiscono inibendo enzimi chiamati topoisomerasi batteriche, che sono necessari alla duplicazione del DNA batterico e per questo sono battericidi, quindi conducono a morte il batterio. Tra questi troviamo i chinoloni, tra cui acido nalidissico, ciprofloxacina e levofloxacina, molti dei quali utilizzati per la terapia delle cistiti nelle donne.
Le penicilline e le cefalosporine sono invece antibiotici che colpiscono la parete batterica, ossia quella particolare struttura molecolare che riveste la cellula batterica, e ne impediscono il corretto assemblaggio, portando il batterio alla morte. Fu Fleming, nel 1928, a scoprire il potenziale antibatterico delle penicilline, la classe di antibiotici ancora oggi più impiegata. Tra i farmaci che agiscono sulla parete batterica troviamo anche glia antibiotici glicopeptidici, come la vancomicina e la teicoplanina, maggiormente ad uso ospedaliero e somministrati esclusivamente per via iniettiva.
Un quarto meccanismo d’azione prevede l’inibizione della sintesi proteica batterica, con antibiotici che inibiscono la struttura cellulare deputata a questo, il ribosoma. Fanno parte di questa classe gli aminoglicosidi, le tetracicline, il cloramfenicolo e i macrolidi.