Cos’è remdesivir?
Il remdesivir è un farmaco antivirale prodotto dall’azienda farmaceutica statunitense Gilead Sciences. Il suo meccanismo d’azione consiste nel bloccare l’enzima RNA polimerasi, un processo fondamentale per la replicazione del virus all’interno delle nostre cellule.
È stato sviluppato per il trattamento delle infezioni dai virus Ebola e di Marburg. Successivamente alla sua scoperta, altri studi sono stati effettuati per esplorare altre applicazioni del profilo antivirale di remdesivir, tra cui anche quello contro il coronavirus SARS-CoV-2.
Cosa ci dicono gli studi pre-clinici effettuati sul remdesivir?
In un contesto di emergenza come quello generato dalla COVID-19, nella ricerca di validi presidi terapeutici, gli studi pre-clinici hanno giocato un ruolo fondamentale.
La fase di sviluppo pre-clinico di un farmaco ha lo scopo d’indentificare se un farmaco può essere candidato alla cura o prevenzione di una determinata patologia nell’uomo, sulla base di criteri di efficacia e sicurezza in modelli cellulari e, successivamente, animali.
Solo dopo la conferma che la terapia candidata possieda tali criteri in un organismo vivente complesso si decide di passare alla fase di sviluppo clinico.
Gli studi clinici nell’uomo costituiscono un passaggio fondamentale a garanzia della messa in commercio di un farmaco sicuro ed efficace. Solamente il 14% di farmaci che entrano negli studi clinici riescono ad arrivare anche sul mercato. La percentuale dei farmaci che si fermano agli studi pre-clinici è ulteriormente ridotta.
Nel caso del remdesivir, due studi effettuati su primati hanno dimostrato una forte attività antivirale sia nei confronti del virus della sindrome respiratorio medio-orientale (MERS) sia contro il SARS-Cov2.
Gli animali trattati con remdesivir non mostravano segni di patologie respiratorie e avevano una riduzione significativa di infiltrati alveolari e della carica virale.
Questi dati sono stati sufficienti per convincere l’agenzia regolatoria dei farmaci statunitense (Food and Drug Administration, FDA), a dare l’autorizzazione all’utilizzo in emergenza del remdesivir nei pazienti affetti dalla COVID-19. Lo stesso è accaduto in Giappone con l’autorità regolatoria locale.
Primi dati dagli studi clinici sull’uomo e primi dubbi sull’efficacia del remdesivir
Il 23 aprile 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha erroneamente pubblicato sul sito ufficiale dell’organizzazione una versione preliminare di un manoscritto riportante i risultati del primo e tanto atteso, studio clinico sul remdesivir.
Nello specifico, il manoscritto era stato condiviso prima del processo “peer-review”, una procedura considerata essenziale per valutare la attendibilità e la qualità delle pubblicazioni scientifiche.
Dai risultati pubblicati emergeva che il remdesivir presentasse solo modesti effetti clinici, molto lontani dalla forte attività antivirale dimostrata negli studi sui primati, destando seri dubbi nella comunità scientifica sul suo potenziale utilizzo nel trattamento di COVID-19.
Il remdesivir non risultava aver migliorato la condizione clinica dei 158 pazienti coinvolti né aveva ridotto la carica virale a livello sistemico. L’unico aspetto positivo consisteva in un trend benefico, emerso soprattutto quando il remdesivir era utilizzato nelle fasi iniziali della malattia.
Inoltre, gli effetti collaterali sviluppati avevano richiesto l’interruzione prematura del trattamento in 18 dei pazienti in studio. È importante sottolineare che l’interruzione prematura dello studio ha ridotto il numero di pazienti arruolati e conseguentemente anche la significatività statistica dei risultati.
Lo studio è stato successivamente pubblicato nella rivista The Lancet, una tra le più autorevoli nel suo settore, il 29 aprile 2020.
Perché allora EMA ha adesso autorizzato il farmaco per la COVID-19?
Perché dopo lo studio di cui sopra, sono stati resi noti i risultati di due ulteriori e importanti studi, il SIMPLE trial e l’Adaptive COVID-19 Treatment Trial, noto come ACTT che hanno dimostrato che il remdesivir accelera il recupero tra i pazienti con la COVID-19 in stato avanzato1.
Lo studio SIMPLE Trial2, promosso da Gilead, è stato concepito per valutare l’efficacia clinica di un trattamento breve (5 giorni) o uno lungo (10 giorni), trovandoli equivalenti.
Lo studio, non avendo previsto un gruppo di controllo, necessita di ulteriori studi e approfondimenti per poter confermare l’equivalenza terapeutica della terapia “breve” con quella “lunga”.
Dall’altra parte, lo studio Adaptive COVID-19 Treatment Trial, promosso dall'Istituto Nazionale Americano per le Allergie e le Malattie Infettive (National Institute of Allergy and Infectious Diseases), ha arruolato, in diversi paesi, 1063 pazienti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV-2 che necessitavano di ossigeno supplementare.
Lo studio ha mostrato che il tempo medio di ricovero dei malati trattati con il remdesivir è di 11 giorni mentre i giorni richiesti nel braccio di controllo erano 15, con in più anche una tendenza, sebbene non significativa, a ridurre il tasso di mortalità dei pazienti trattati (8% contro l'11,6%).
Cosa possiamo dedurre da questi due importanti studi?
Nello studio ACTT, pubblicato sul New England Journal of Medicine, il tempo mediano che intercorreva dall’insorgenza dei sintomi alla somministrazione del remdesivir (o placebo) era pari a 9 giorni.
Secondo alcuni autori3 è possibile che, una somministrazione più precoce di remdesivir, si sarebbe riflessa in una significativa riduzione della mortalità nei pazienti, suggerendo l’importanza di somministrare il farmaco nella fase dell’infezione che precede il coinvolgimento polmonare che richieda la ventilazione meccanica.
Inoltre, pure in presenza di deboli evidenze sull’efficacia del remdesivir nel ridurre la mortalità, i ricercatori suggeriscono di associarlo in combinazione con altre opzioni terapeutiche o agenti antivirali.
Secondo altri autori3, tali terapie, consentite comunque anche nel braccio di controllo, possono costituire un ulteriore fattore che ha contribuito all’ottenimento di un risultato non statisticamente significativo.
Alla luce dei commenti da parte della comunità scientifica sullo studio ACTT, sono in corso analisi per sottogruppi per verificare la correttezza di queste due ipotesi.
Sono attualmente in corso numerosi altri studi clinici per valutare l’efficacia e la sicurezza del remdesivir nel trattamento di COVID-19.
Forse, la complessa storia dell’autorizzazione remdesivir per la COVID-19 non è ancora finita
Ad aprile, il Comitato per i prodotti medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea per i medicinali (EMA) ha raccomandato l'uso compassionevole (cioè al di fuori degli studi clinici) del remdesivir per il trattamento della COVID-19 grave e in assenza di valide alternative terapeutiche.
Il primo maggio l’FDA, ha approvato il remdesivir per il trattamento di adulti e bambini ospedalizzati con COVID-19 grave e con procedura d’emergenza. Tale eccezionale autorizzazione all’uso in emergenza può essere revocata o rivista in ogni momento, a tutela dei pazienti.
A fine giugno EMA ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) per la COVID-19 in Europa, ma solo subordinata a determinate condizioni.
Infatti, l’impiego di tale farmaco è previsto solo per i pazienti con un’età superiore ai 12 anni con forma avanzata di COVID-19 che necessitano di terapia con ossigeno supplementare o ventilazione meccanica. Si attende ora l’ok da parte della Commissione Europea.
Sebbene remdesivir non potrà risolvere la pandemia in corso da COVID-19, sembra comunque avere una certa efficacia nel ridurre i tempi di recupero. Intanto, il governo degli Stati Uniti ha acquistato tutte le scorte di remdesivir disponibili fino a settembre limitando fortemente la disponibilità del farmaco per il resto del mondo.
Riferimenti bibliografici e sitografici
1 ClinicalTrials.gov number, NCT04280705
2 NCT04292899; https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2015301
3 10.1056/NEJMc2022236