Studi ambiziosi e "bizzarri"
Il 23 marzo 2020 è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science un articolo del giornalista scientifico Jop de Vrieze che ci spiega come in diverse parti del mondo stiano partendo degli studi per vedere se il vaccino contro la tubercolosi fa ammalare di meno chi si vaccina.
In particolare, si vuole studiare se chi si vaccina non solo è protetto dalla tubercolosi, fenomeno atteso, ma è protetto in qualche modo da qualsiasi tipo di malattia, in genere, e, specificamente, dalle infezioni polmonari. Ad esempio, sta per partire uno studio in Grecia e uno nel Regno Unito per studiare se il vaccino contro la tubercolosi aumenta la resistenza alle infezioni nelle persone anziane.
In Olanda e in Australia partono invece altri due studi per vedere se diminuisce il numero di giorni di assenze dal lavoro per malattia negli operatori sanitari vaccinati rispetto a quelli non vaccinati.
Nonostante questi studi siano stati pianificati prima che scoppiasse l’emergenza COVID-19, potrebbero essere utili per vedere se il vaccino è in qualche modo efficacie nel proteggere dall'infezione da SARS-CoV-2. Infatti, come noto, sia gli anziani che gli operatori sanitari sono a maggior rischio di ammalarsi di una forma grave di COVID-19 e, dunque, nei prossimi mesi potremo sapere se il vaccino contro la tubercolosi fa quello che viene ipotizzato.
Ma un vaccino protegge anche nei confronti di infezioni diverse da quelle per cui è stato preparato?
No. Di solito un vaccino causa una risposta immunitaria dell’immunità adattativa (o specifica) cioè l’attivazione di linfociti B e linfociti T che riconoscono uno o più molecole (dette antigeni) presenti nel batterio (o nel virus) e non presenti nell’uomo.
Questi linfociti B e linfociti T sono molto efficaci e specifici per la malattia per cui è stato preparato il vaccino e sopravvivono molto a lungo nel nostro organismo. Per questo motivo si dice che la vaccinazione promuove una memoria a lungo termine, così che l’organismo del soggetto vaccinato è pronto a reagire contro il microorganismo anche trascorsi molti anni dalla vaccinazione.
Questa memoria a lungo termine è quella che, di solito, non ci fa ammalare della stessa infezione due volte. Ad esempio, se uno di noi non è vaccinato contro l’influenza e contrae l’influenza, quell’anno non si ammalerà una seconda volta di influenza, proprio perché è protetto dai linfociti B e T della memoria.
Il nostro organismo si difende dai virus e dai batteri solo attraverso i linfociti B e i linfociti T?
No. Il nostro organismo si difende anche in altri modi.
La prima difesa acquisita col progresso è cercare di diminuire il numero di microrganismi con cui veniamo in contatto, come abbiamo ben imparato durante questa grave pandemia (ma comunque sappiamo da sempre che lavarsi le mani dopo essere andati al bagno o prima di mangiare è una misura igenica fondamentale per difenderci dalle infezioni).
Sempre in questi giorni abbiamo imparato che se il virus sporca le nostre mani non ci infettiamo. Infatti, la pelle integra rappresenta una difesa formidabile contro un gran numero di infezioni (mentre tutte le mucose incluse quelle della bocca, del naso, delle vie aeree inferiori e degli occhi non rappresentano una difesa altrettanto efficace).
Infine, una volta entrato nell’organismo, il micorganismo viene attaccato da cellule meno efficaci dei linfociti B e T ma che, a differenza di queste, sono immediatamente pronte a combattere il microorganismo invasore. Si tratta delle cellule che fanno parte del sistema immunitario cosidetto "innato" come i macrofagi, le cellule Natural Killer (NK), i neutrofili e altri tipi di cellule non specializzate.
Perché i bambini, i giovani e gli adulti si ammalano meno di COVID-19 rispetto agli anziani e al personale sanitario?
Come ormai sappiamo il virus SARS-CoV-2, responsabile di Covid-19, è un virus nuovo. Per questo motivo, nessuno di noi ha nel proprio organismo linfociti B e T della memoria capaci di uccidere specificamente il virus, nel caso in cui questo entri nell’organismo.
Al contrario, le cellule della immunità innata riconoscono invece il virus e lo eliminano. Come si diceva, queste cellule sono meno specifiche e meno attive dei linfociti e quindi riescono ad eliminare solo un certo numero di virus.
È per questo motivo che i medici e gli infermieri si ammalano di più degli altri uomini e donne della stessa età: il numero di virus con cui vengono a contatto è di molto superiore a quello con cui vengono a contatto persone che, mantenendo la distanza prescritta, incontrano sporadicamente persone positive per il SARS-CoV-2. Inoltre, le cellule della immunità innata sono meno attive negli anziani e questo spiega perché, a parità di carica virale, questi ammalino di più e la loro malattia sia più grave.
Perché è stato ipotizzato che il vaccino contro la tubercolosi possa proteggere da altre malattie, compresa l’infezione da SARS-CoV-2?
Studi recenti hanno dimostrato che alcune cellule dell’immunità innata, come i macrofagi e le cellule NK, reagiscono a una infezione o a una vaccinazione in modo simile ai linfociti.
Si inizia, dunque, a parlare di memoria immunitaria innata (o "immunità allenata"), per indicare che dopo una infezione o una vaccinazione queste cellule sono più operative. In particolare, dati sperimentali ed epidemiologici hanno dimostrato che l'induzione di questo tipo di immunità contribuisce a potenziare nel soggetto vaccinato con il vaccino contro la tubercolosi la risposta contro il micobatterio che ne è causa (Khader et al, 2019).
Inoltre, differentemente dalla risposta immunitaria dei linfociti T e B, l’attivazione delle cellule del sistema immunitario innato interessa anche l’attività contro batteri e virus diversi da quello della tubercolosi. È quindi possibile ipotizzare che questo vaccino possa potenziare aspecificamente le difese mediate dall’immunità innata.
Esistono studi scientirfici che dimostrano la fondatezza di questa ipotesi?
Si. Nel topo, la somministrazioni di componenti del micobatterio della tubercolosi proteggono dall’infezione di un batterio (Klebsiella pneumoniae) che causa polmonite (Chedid et al. 1977), dal picornavirus responsabile dell'afta epizootica (Gorhe, 1967) e dalla infezione da Candida albicans (van ‘t Wout et al, 1992). Più recentemente, è stato dimostrato che la vaccinazione contro la tubercolosi limita l'infestazione di Schistosoma mansoni in topi privi dell’immunità adattativa (Shann et al, 2010).
Nell'uomo è stato dimostrato che la vaccinazione contro la tubercolosi potenzia la risposta contro i patogeni del tratto respiratorio inferiore (Snider et al, 2000, Brennan et al, 2012), il virus della febbre gialla (Kaufmann et al, 2010) e i batteri responsabili della sepsi neonatale (Brennan et al, 2012).
Inoltre, è stato dimostrato che la vaccinazione induce protezione contro i parassiti intestinali (Ritz et al, 2009), anche negli individui infetti da HIV. Infine, in un altro studio amplissimo è stato dimostrato che i neonati vaccinati con il vaccino contro la tubercolosi ammalano meno di polmonite (diminuzione del 27%) (Hollm-Delgado et al, 2014).
Negli ultimi due anni, numerose riviste prestigiose fanno riferimento alla "immunità allenata" e spiegano i meccanismi sottesi a questo meccanismo che rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale anche nell’interpretazione dell’effetto dei vaccini (Netea et al, 2020) (Xing et al, 2020).
Quindi il vaccino contro la tubercolosi protegge dall’infezione da SARS-CoV-2? Cioè se io l’ho fatto o lo faccio non mi ammalo?
No. Questo vaccino non porta allo sviluppo di una risposta dei linfociti T e B e quindi un soggetto vaccinato con il vaccino contro la tubercolosi non sviluppa difese specifiche contro SARS-CoV-2 e può ammalare se contagiato.
È però possibile che la vaccinazione contro la tubercolosi renda più attive le cellule del sistema immunitario innato e che queste diminuiscano la gravità della patologia COVID-19 e la percentuale di soggetti che ammalano. Ma questa è solo un’ipotesi che sarà confermata o smentita dagli studi che stanno per iniziare in questi giorni.
Riferimenti bibliografici:
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Chedid L, Parant M, Parant F, Lefrancher P, Choay J, Lederer E. Enhancement of nonspecific immunity to Klebsiella pneumoniae infection by a synthetic immunoadjuvant (N-acetylmuramyl-L-alanyl-D-isoglutamine) and several analogs. Proc Natl Acad Sci USA. (1977) 74:2089–93. doi: 10.1073/pnas.74.5.2089
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