Che cosa sono le eparine a basso peso molecolare
Le eparine a basso peso molecolare (definite anche eparine non frazionate o EBPM) sono farmaci antitrombotici ad azione anticoagulante.
La definizione “a basso peso molecolare” si riferisce al metodo attraverso il quale sono ottenute, ossia mediante reazioni di frazionamento dell'eparina naturale, altrimenti detta “non frazionata”.
Sfruttando la loro azione anticoagulante, questi farmaci prevengono lo sviluppo di trombi che possono essere definiti come coaguli di sangue formatisi nei vasi sanguigni.
Le indicazioni principali all’impiego di eparina sono la profilassi e la terapia della malattia tromboembolica di vene e arterie.
Come per tutti i farmaci antitrombotici, le eparine presentano come principale effetto collaterale il rischio aumentato di emorragia.
Le fasi cliniche dell’infezione COVID-19 e il razionale d’uso della terapia anticoagulante
La prima fase dell’infezione COVID-19 è caratterizzata da febbre, tosse secca e altri sintomi non specifici. Nella seconda fase, il virus attacca soprattutto i polmoni provocando un peggioramento della sintomatologia respiratoria.
In questa fase è possibile riconoscere lesioni polmonari tipiche della malattia, il numero dei linfociti nel sangue si riduce e aumenta invece l’espressione di sostanze che favoriscono l’infiammazione (fattori pro-infiammatori).
La terza fase, che si realizza fortunatamente in un numero limitato di persone, si presenta con un quadro clinico ingravescente caratterizzato da uno stato infiammatorio diffuso.
È stato osservato che il peggioramento del quadro infiammatorio può essere correlato a un processo di “ipercoagulabilità”, fenomeno che indica la tendenza del sangue a formare trombi con una frequenza maggiore del normale.
Per queste ragioni, è stato suggerito che le eparine a basso peso molecolare, in particolare l’enoxaparina, possano essere utili per prevenire o arrestare tale processo contribuendo così a evitare danni molto importanti agli organi del nostro corpo.
Quando potrebbe essere utile il trattamento con eparina a basso peso?
Nel quadro complesso che caratterizza la malattia COVID-19, il trattamento con eparina potrebbe rivelarsi utile:
- nella fase iniziale, nei pazienti allettati con polmonite, per contrastare la formazione di trombi nelle vene (tromboembolismo venoso) a scopo profilattico.
- nelle fasi avanzate, in pazienti ricoverati, per contenere i fenomeni trombotici che hanno origine nel circolo polmonare come conseguenza dell’ingravescente stato infiammatorio.
Quali sono le evidenze scientifiche che abbiamo a disposizione?
L’unico studio clinico oggi disponibile è stato condotto in Cina in un ospedale di Wuhan.
Si tratta di uno studio retrospettivo, quindi basato sulla raccolta di dati già esistenti prima della decisione di iniziare la ricerca.
Gli autori si sono ispirati da osservazioni di altri ricercatori cinesi che avevano riportato la presenza di segni correlati a ipercoagulabilità in alcuni pazienti morti con COVID-19 a seguito di un quadro patologico molto severo.
L’analisi retrospettiva ha riguardato 415 casi di polmonite grave in corso di COVID-19 e suggerisce che la somministrazione di EPBM per almeno sette giorni potrebbe determinare un vantaggio in termini di sopravvivenza.
L’effetto terapeutico dell’EBPM era evidente solo in quei pazienti che presentavano precise caratteristiche, in particolare, con livelli molto più elevati della norma di D-dimero (marcatore utile per verificare la qualità dei meccanismi della coagulazione) o con punteggio elevato ottenuto mediante una scala comprendente parametri di laboratorio e clinici.
Questo è un aspetto molto importante perché in pazienti che non presentano tali requisiti la terapia anticoagulante può provocare eventi emorragici anche molto gravi.
Inoltre, la maggior parte dei pazienti con COVID-19 sono anziani con comorbidità (cioè la presenza di altre patologie) e in trattamento con numerosi altri farmaci che potrebbero interferire con l’eparina.
Ma cosa dice l’autorità regolatoria italiana AIFA?
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha rilevato che l’uso terapeutico delle EBPM sta entrando nella pratica clinica della terapia dei pazienti COVID sulla base di evidenze incomplete sia in termini di efficacia sia di sicurezza.
Le incertezze riguardano anche il dosaggio da utilizzare. Infatti, in Cina nelle fasi più avanzate della patologia sono stati somministrati 40-60 mg al giorno.
Tuttavia, i pazienti asiatici potrebbero essere per costituzione genetica più sensibili al trattamento e, di conseguenza, i pazienti Europei potrebbero beneficiare di dosi più elevate (80-100 mg al giorno).
Anche questa è un’ipotesi che solo studi clinici pianificati ad hoc potranno comprovare.
L’AIFA avverte che l’indicazione d’uso delle EBPM nei pazienti affetti da COVID-19 si basa su evidenze molto preliminari e che tale terapia deve essere considerata solo dopo un’attenta valutazione caso per caso.
Per questo motivo, l’Agenzia sottolinea l’urgente necessità di studi randomizzati per valutare efficacia e sicurezza del trattamento e ne ha incoraggiato lo svolgimento.
Anche per la terapia anticoagulante con EPBM, come negli altri casi che hanno riguardato la scoperta di terapie efficaci o presunte tali contro COVID-19, è importante riferirsi alle evidenze scientifiche derivate da studi clinici.
Riferimenti bibliografici:
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Sitografia: