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Dalle malattie rare all’oncologia: quanto sono efficaci e sicuri i farmaci per bambini?

17 febbraio 2021

Dalle malattie rare all’oncologia: quanto sono efficaci e sicuri i farmaci per bambini?
I bambini non sono semplicemente degli adulti più piccoli, anzi. Il loro organismo è in rapida evoluzione, dalla fase neonatale alla adolescenza, con un continuo e progressivo sviluppo di tutte le sue funzioni, fino alla “maturazione” completa dell’età adulta. La risposta ai farmaci deve tener conto di questa evoluzione e i pazienti pediatrici richiedono che i farmaci dedicati a questi pazienti abbiano adeguate caratteristiche di efficacia e sicurezza. In questa intervista chiediamo ai farmacologi della SIF che fanno parte del GdL in Farmacologia Pediatrica di fare il punto su alcuni aspetti cruciali della Farmacologia Pediatrica.

Una delle priorità in età pediatrica è certamente quella della terapia delle malattie oncologiche, spesso caratterizzate dai tumori del sangue. Chiediamo al prof. Gabriele Stocco, dell’Università di Trieste a che punto stiamo con i farmaci oncologici in pediatria.

La cura dei tumori dei bambini, mediante la somministrazione di combinazioni di farmaci, rappresenta uno dei maggiori successi della medicina moderna. Grazie alla ricerca farmacologica, oggi guarire da un tumore in giovane età è possibile nell'80% dei casi, percentuale che raggiunge anche il 90% nelle forme di leucemia linfoblastica acuta, la neoplasia più frequente in età pediatrica.

Pur garantendo la guarigione, i farmaci impiegati per la terapia dei tumori pediatrici hanno anche pronunciati effetti collaterali, una tossicità che spesso condiziona la terapia stessa. Un modo per ovviare e ridurre l’impatti degli eventi avversi, quello di è personalizzare le dosi dei farmaci per il singolo paziente.

Ciò è possibile grazie alla comprensione dei meccanismi con cui i farmaci svolgono la loro attività o vengono inattivati e eliminati dall’organismo. In particolare, lo studio dei geni coinvolti in questi meccanismi consente di modulare le dosi di farmaco per il singolo paziente, esaltando gli effetti antitumorali e minimizzando quelli avversi.

Lo studio di questi geni ha promosso la realizzazione di linee guida farmacogenetiche, diventate degli strumenti fondamentali per le decisioni cliniche, indicando i farmaci ed i dosaggi più appropriati, a seconda delle caratteristiche genetiche dei pazienti. Per fare un esempio, le analisi genomiche permettono di suddividere la leucemia linfoblastica acuta in più di 12 sottotipi, ciascuno dei quali con appropriate scelte terapeutiche.

Prof. Stocco, c’è solo la chemioterapia per il trattamento dei tumori pediatrici?

Assolutamente no. Un progresso decisivo alla terapia dei tumori pediatrici è anche dovuto allo sviluppo di farmaci biologici e cellulari (per esempio anticorpi monoclonali e CAR-T), terapie in grado di attivare specificamente il sistema immunitario contro le cellule leucemiche. L’applicazione su larga scala di questi approcci terapeutici innovativi incrementeranno le percentuali di successo nelle cure dei tumori pediatrici e miglioreranno ulteriormente l’efficacia e la sicurezza dei farmaci oncologici in pediatria.

Un’altra problematica, sempre sulla scarsità di farmaci disponibili, è quella delle malattie rare in pediatria. Chiediamo alla prof. Annamaria De Luca dell’università di Bari quali siano le novità farmacologiche a questo riguardo.

Le malattie rare pediatriche possono essere congenite o manifestarsi dopo la nascita e, nella maggior parte dei casi, si tratta di malattie complesse che determinano importanti disabilità, ritardi dello sviluppo e mortalità prematura. Sono malattie che dipendono da alterazioni di geni, per le quali non bastano farmaci che controllano la sintomatologia ma sono necessarie cure risolutive che oggi vedono in prima linea le ricerche con terapie geniche e cellulari.

Pensiamo, ad esempio, alle patologie immunoematologiche, come la ADA-SCID, alla beta-talassemia o alle patologie neurometaboliche, quali l’adrenoleucodistrofia legata al cromosoma X. Per alcune di queste malattie è oggi possibile il trapianto autologo di cellule ematopoietiche staminali (cioè di cellule prelevate dallo stesso paziente e corrette in laboratorio con terapia genica prima della loro re-infusione), superando i limiti che pone il trapianto da donatore compatibile (la compatibilità non è quasi mai assoluta e si deve intervenire con farmaci che impediscano il rigetto del trapianto stesso).

Recentemente è stata approvata la terapia genica per i bambini con forme severe di atrofia muscolare spinale (SMA) e sono in corso studi clinici, sempre di terapia genica, per indurre la produzione di “microdistrofina” (una forma più piccola della proteina mancante) nella distrofia muscolare di Duchenne (DMD). Importanti innovazioni sono attese dall’uso della tecnica CRISPR-CAS9 che permette la rilettura del DNA (una procedura che permette di rimuovere dal DNA il gene difettoso e sostituirlo con quello corretto).

Prof. De Luca, oltre alla terapia genica quali altre terapie ci sono per le malattie rare?

Altre strategie terapeutiche sono quelle che impiegano gli oligonucleotididi antisenso. Questi sono pezzettini di acidi nucleici che “ingannano” il difetto genico, agendo a valle di esso sui cosiddetti meccanismi post-trascrizionali (quelli che, semplificando, portano alla costruzione delle proteine). Alcuni di questi prodotti biotecnologici hanno trasformato il corso della SMA, aumentando l’espressione di una proteina che permette la sopravvivenza dei motoneuroni (i neuroni che muoiono nel soggetto malato e la cui mancanza porta ad atrofia muscolare).

Altri ancora, approvati per ora solo negli Stati Uniti, sono proposti per la fibrosi cistica o possono “saltare” mutazioni che si verificano in circa il 10% dei bambini con la DMD. Ancora, la terapia enzimatica sostitutiva (cioè iniettare l’enzima mancante) permette di ottenere progressi clinici significativi nella malattia di Pompe (patologia neuromuscolare, cronica e debilitante, classificata come disordine metabolico: si caratterizza per il mancato smaltimento del glicogeno, ovvero la riserva energetica dei muscoli, comportando di conseguenza la debolezza muscolare progressiva) ed in altre patologie metaboliche.

Prof. De Luca, ci sono farmaci che possono essere assunti anche per via orale?

Si certo, si stanno studiando diversi farmaci attivi per via orale (e quindi facili da somministrare) come, ad esempio, ivacaftor, noto come potenziatore del canale CFTR (un canale che permette lo scambio di ioni cloro) e utilizzato nella fibrosi cistica. In alcuni casi si tratta di farmaci nuovi mentre in altri casi si tratta di farmaci noti che vengono “riposizionati” su queste patologie perché si è scoperto che hanno meccanismi d’azione utili. Sebbene meno “affascinanti” rispetto alle terapie geniche o cellulari, sono però preziosi alleati di pazienti e medici.

Un esempio classico è quello dei cortisonici che per oltre trent’anni sono stati usati off label (cioè al di fuori delle indicazioni per le quali sono stati autorizzati) e che hanno contribuito a modificare la storia naturale della DMD: oggi l’aspettativa di vita di un bambino con DMD può arrivare anche 30-40 anni. Questi risultati ci spiegano perché sono in corso molti studi clinici, i cui risultati preliminari sono molto promettenti, con farmaci tradizionali applicati in diverse patologie rare pediatriche.

Naturalmente, non va dimenticata la fondamentale importanza della diagnosi precoce e quindi le campagne di screening pre-e post-natale, per permettere la più rapida presa in carico del paziente pediatrico con malattia rara. L’intero processo richiede un dialogo continuo tra ricercatori, clinici, aziende, associazioni pazienti e istituzioni per garantire sia il necessario equilibrio tra richiesta di salute e sicurezza delle nuove strategie terapeutiche sia l’accesso equo e sostenibile.

A proposito degli studi clinici, come funzionano i comitati etici chiamati a dare un parere nel caso di sperimentazione clinica in pediatria? Lo chiediamo al prof. Alessandro Mugelli (past-President della Società Italiana di Farmacologia e Presidente del Comitato Etico Pediatrico della Regione Toscana)

Per rispondere è necessario fare una breve premessa: è ampiamente riconosciuto che, nella sperimentazione clinica, esista una specificità pediatrica; tale specificità è formalmente sancita dalla esistenza del regolamento pediatrico europeo, documento che detta precise regole per le procedure di sviluppo e registrazione dei farmaci da utilizzarsi in età pediatrica.

Sappiamo che molti dei farmaci utilizzati nei pazienti di età compresa tra 0-18 anni non sono stati precedentemente studiati in questi gruppi di pazienti, per cui esiste un ampio ricorso alla prescrizione cosiddetta off-label. Proprio partendo da questo dato, il regolamento fornisce indicazioni per garantire efficacia e sicurezza dei farmaci pediatrici e intende favorire la sperimentazione clinica in questo ambito.

Le ragioni di questa specificità si possono ricondurre a:
- eterogeneità della popolazione pediatrica
- problematiche di farmacocinetica e farmacodinamica
- carenza di conoscenze sulla storia naturale delle malattie pediatriche
- ampia variabilità nei comportamenti clinici
- difficoltà nella scelta di end-points clinicamente rilevanti (cioè gli obiettivi che si intende raggiungere con la sperimentazione) anche a causa dei lunghi tempi di follow up (cioè del periodo di osservazione del paziente dopo la somministrazione della terapia) che potrebbero essere necessari per valutare end-points non surrogati (cioè gli obiettivi principali che si intende raggiungere con la sperimentazione).

Il regolamento implicitamente riconosce la specificità di sviluppo di farmaci che sono obbligatori per iniziare un percorso autorizzativo di un farmaco per condizioni/malattie che possono potenzialmente interessare anche l’età pediatrica.

A questo si aggiungono delle specificità etiche che impegnano il comitato etico che deve valutare una sperimentazione in ambito pediatrico: problematiche legate all’uso del placebo (cioè di una terapia di confronto in cui manca il farmaco di cui si studiano gli effetti), alla complessa procedura di acquisizione del consenso/assenso informato da parte dei genitori e del paziente con informazioni che devono essere adattate alla sua capacità di comprensione in funzione dell’età, alle giuste limitazioni imposte dalla dichiarazione di Helsinki alle sperimentazioni che non consentono di ipotizzare vantaggi diretti per i partecipanti.

Nella mia pluriennale esperienza e attività in vari CE, mi sono convinto della importanza di avere dei Comitati Etici specificamente dedicati alla valutazione di studi pediatrici. Ho sostenuto questa mia posizione (inserita anche nella Legge 3, 2018) in tutte le sedi, convinto della necessità di favorire la ricerca clinica (e preclinica) in ambito pediatrico, ma altresì di garantire il massimo livello possibile nella qualità della sua valutazione, a garanzia dei soggetti coinvolti direttamente nella sperimentazione, ma anche di coloro che si trovano emotivamente molto coinvolti (genitori e nonni).

Sembra quindi che, per lo sviluppo di farmaci adatti all’età pediatrica, ci siano aspetti regolatori precisi. Lo chiediamo alla dott.ssa Viviana Giannuzzi, della Fondazione per la Ricerca Farmacologica Gianni Benzi onlus

I bambini hanno diritto a farmaci propriamente studiati, così come gli adulti, anche se il processo di ricerca & sviluppo è più difficile e spesso più lungo e più costoso. È questo il principio su cui si basa il Regolamento Pediatrico emanato dalla Commissione Europea nel 2006, che richiede alle aziende a valutare il possibile uso pediatrico per ogni farmaco nuovo o una nuova indicazione di farmaco già esistente per gli adulti, presentando un piano di sviluppo pediatrico o un ‘waiver’ in cambio di una maggiore durata dell’esclusività sul mercato.

Il Regolamento Pediatrico rappresenta quindi la vera rivoluzione nel campo dello sviluppo dei farmaci pediatrici, stabilendo obblighi e nello stesso tempo ricompense per questo impegno maggiore, anche dal punto di vista economico. Il suo scopo è superare l’esistente problematica che solo 1 su 3 farmaci dell’adulto si possono usare anche nel bambino, e questo numero diventa ancora più piccolo nel neonato e nella primissima infanzia.

Il Regolamento Pediatrico riconosce quindi l’esistenza di ‘bisogni terapeutici’ non soddisfatti dei bambini, specialmente in particolari aree terapeutiche e la necessità di individuare tali bisogni in una lista istituita dal Comitato Pediatrico PDCO, in particolare, al fine di individuare le priorità per la ricerca.

Per venire incontro alle difficoltà metodologiche e etiche, legate allo sviluppo di farmaci pediatrici, le agenzie regolatorie e le organizzazioni sovranazionali hanno prodotto linee guida e raccomandazioni che costituiscono l’impianto regolatorio essenziale per condurre studi in determinate aree terapeutiche o indicazioni, su soggetti incapaci di dare il proprio consenso autonomamente e su piccole popolazioni, in cui è più difficile valutare l’efficacia e la sicurezza (basti pensare al fatto che negli studi clinici non si possono registrare dati facendo delle domande ai bambini più piccoli come i neonati oppure alla maggiore difficoltà nel condurre studi sugli animali giovani).

Il corretto posizionamento dei farmaci in terapia passa anche attraverso l’analisi degli eventi avversi che questi causano durante il loro impiego, una attività che prende il nome di Farmacovigilanza. Cosa si sa della Farmacovigilanza in pediatria? Lo chiediamo alla dott.ssa Elisabetta Bigagli, dell’Università di Firenze.

La crescente sensibilizzazione delle autorità regolatorie del farmaco nei confronti della popolazione pediatrica, si è tradotta in quadri regolatori sempre più ispirati alla tutela della salute dei bambini e al loro diritto a terapie efficaci e sicure, sviluppate anche attraverso studi che tengano conto delle peculiarità delle varie tappe dell’età evolutiva.

Le reazioni avverse a farmaci nella popolazione pediatrica, necessitano di competenze e valutazioni specifiche, in quanto possono differire, in termini di frequenza, natura, gravità e presentazione, da quelle che si riscontrano nella popolazione adulta.

Persino all’interno della fascia di età pediatrica si possono osservare differenti suscettibilità ad eventi avversi, dovute a differenze in termini di assorbimento, metabolizzazione ed eliminazione dei farmaci ed ai diversi processi di crescita. Gli effetti dell’esposizione “in utero” o quelli a lungo termine sul neurosviluppo sono altri importanti aspetti da considerare ai fini della valutazione del profilo rischio/beneficio dei farmaci in età pediatrica.

È quindi fondamentale informare e sensibilizzare medici e cittadini sull’importanza di segnalare eventuali effetti avversi a farmaci somministrati in età pediatrica, fornendo informazioni sull’indicazione o l’intenzione d’uso del farmaco, la dose e la forma farmaceutica somministrata, nonché età, peso, altezza e grado di maturazione del bambino/adolescente.

Per un impiego sempre più corretto dei farmaci, la farmacovigilanza, attraverso la conoscenza e lo studio di tutti i fattori che possono influire sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci in età pediatrica, nonché attraverso la raccolta e valutazione delle segnalazioni di eventi avversi, garantisce il continuo monitoraggio del profilo rischio/beneficio sia dei farmaci già in commercio che di quelli oggetto di sperimentazione clinica.

Di questi argomenti e di molto altro ancora si parlerà in occasione di simposi e di letture magistrali in occasione del 40° congresso nazionale della Società Italiana di Farmacologia del prossimo 9-13 marzo 2021.

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