A scuola di pandemia virale
In questi mesi le nostre capacità di ragionare su virus, linfociti, gravità della malattia, contagiosità, portatore sano si sono notevolmente affinate. Ormai parliamo di SARS-CoV-2, CoViD-19, vaccini e malattie come quando parliamo della Nazionale di calcio.
Ci è andata bene, abbiamo vinto gli Europei, ma si può sempre migliorare. E ognuno di noi sa come fare. Dato che non nasciamo “saputi” oggi cerchiamo di capire se chi è vaccinato contagia come chi non è vaccinato e se c’è una soluzione alla portata di mano. Così, tornando a lavorare in presenza, potremo sfoggiare la nostra cultura…
Come fa un microrganismo a passare da un malato ad un soggetto sano?
Abbiamo ben chiaro che cosa significa malattia e, più o meno, sappiamo anche che cosa significa essere sani. Una caratteristica di chi è malato di una malattia infettiva è che, molto spesso, tende a trasmettere il patogeno (virus, batterio o protozoo) a chi gli vive accanto.
Questo può avvenire:
a) tramite l’aria (ormai conosciamo tanti tipi di goccioline e di varie altre particelle capaci di “trasportare” il microorganismo da un soggetto ad un altro),
b) il contatto diretto essere umano-essere umano che, di solito, deve essere rilevante (ad esempio le malattie trasmesse attraverso il rapporto sessuale o un bacio sulla bocca),
c) l’ingestione di microrganismi presenti su cibi o oggetti sporchi di feci o di saliva (le malattie batteriche gastrointestinali).
Anche mettersi le mani in bocca o stropicciarsi gli occhi può essere pericoloso se le mani sono sporche, cioè contaminate dalla saliva o dalle feci di chi è infetto.
A proposito della CoViD-19, ora sappiamo che è molto più pericoloso respirare aria in cui sono sospese le famigerate goccioline cariche di virus, piuttosto che contagiarsi tramite le mani sporche, a meno che non siano molto sporche e piene di virus.
Che cosa è la carica virale?
La carica virale è la quantità di virus che riesce ad entrare nel nostro organismo. A sua volta, questa dipende:
1) da quanti virus immette nell’aria il malato (ad esempio, quanti virus stanno in una gocciolina prodotta dal malato quando parla),
2) l’intensità del contatto con il malato (ad esempio, il numero di goccioline respirate). Ovviamente, l’intensità del contatto dipende anche, ad esempio, dall’uso e dal tipo di mascherina, dall’accumularsi delle goccioline in un ambiente chiuso, ecc...
Da sempre sappiamo che non tutte le persone che vengono in contatto con un malato affetto da una malattia infettiva si ammalano. In questi mesi, ne abbiamo avuto la conferma dalla CoViD-19. Un malato all’interno di una famiglia può contagiare tutti, nessuno o solo una parte dei familiari. Inoltre, c’è chi, una volta contagiato, si ammala gravemente, chi muore e chi ha una malattia meno grave.
Questo dipende da tanti fattori: i geni che ciascuno di noi ha, l’età, come sta il proprio sistema immunitario, se il sistema immunitario ha già visto microrganismi simili a quello che ci attacca e, soprattutto, la carica virale.
Ogni virus ha la sua contagiosità (ad esempio, la carica virale necessaria per ammalarsi con la variante delta è inferiore a quella necessaria per ammalarsi con il SARS-CoV-2 partito più di un anno fa dalla Cina). Ma un virus con una data contagiosità può determinare morte, malattia grave, malattia lieve o niente principalmente in funzione della carica virale.
Esistono solo i sani e i malati o ci sono soggetti che non sono né malati, né sani?
Dunque, un soggetto affetto dalla CoViD-19 è contagioso e uno sano (tampone molecolare negativo) non lo è. Esiste però una tipologia di soggetto che è apparentemente sano ma ospita il virus. I casi più tipici, sono il soggetto con tampone negativo che si sta ammalando (i virus sono già presenti ma sono troppi pochi per essere individuati dalla procedura diagnostica) e quello del soggetto che si è contagiato col virus ma non sta male cioè non ha sintomi (portatore sano) o li ha talmente lievi da non farci caso (pauci-sintomatico).
Se un soggetto che ospita il virus nelle proprie cavità nasali e oro-faringee parla, grida o starnutisce può contagiare chi gli sta vicino. Anche un soggetto vaccinato con un vaccino per prevenire la CoViD-19 può ospitare il virus e diventare per qualche ora/giorno portatore sano se viene contagiato.
C’è differenza tra la carica virale trasmessa da un portatore sano (vaccinato o no) e quella trasmessa da un malato?
Si. Numerosi studi epidemiologici ci dicono che il portatore sano (vaccinato o non vaccinato) trasmette una carica virale inferiore a quella trasmessa da un malato. Quindi, di solito, la carica virale trasmessa da un vaccinato è talmente bassa che la probabilità che chi gli sta vicino si ammali è bassa (molto bassa se il contagiato è vaccinato). Inoltre, la possibilità che, in seguito al contagio, si sviluppi una malattia grave è bassa.
In conclusione, vaccinarsi serve anche a diminuire la probabilità di contagiare gli altri ma non azzera il rischio. È questo il motivo per cui anche chi è vaccinato deve indossare la mascherina in spazi chiusi. Questo è particolarmente importante se il soggetto vaccinato ha vicino a sé soggetti che non lo sono.
Comunque, possiamo dire che l’esistenza del “portatore sano” vaccinato è un insuccesso del vaccino e rallenta l’acquisizione dell’immunità di gregge.
Si sta cercando di mettere a punto vaccini capaci di eliminare l’esistenza del “portatore sano” vaccinato?
I vaccini oggi usati, tutti somministrati come iniezioni intramuscolari, inducono anticorpi circolanti nel sangue ma non anticorpi presenti nella mucosa che riveste il naso, denominati IgA. Qualcuno si è chiesto se un vaccino spruzzato nel naso possa indurre una risposta immunitaria nella mucosa nasale e impedire al SARS-CoV-2 di stabilirsi nel naso e da qui diffondersi nel resto del corpo.
E così, in giro per il mondo, si stanno studiando vaccini nasali anti-CoViD-19.
I test su modelli sperimentali sembrano promettenti e sono in corso studi clinici di fase 1 su individui sani, mai vaccinati con i vaccini attualmente a disposizione contro la CoViD-19. "Pensiamo che i vaccini intranasali siano importanti perché hanno il potenziale per bloccare la trasmissione", ha affermato Martin Moore, CEO e cofondatore di Meissa Vaccines a Redwood City, in California, che ha lanciato uno studio di fase 1 su un vaccino intranasale.
I vaccini intranasali allo studio hanno altri vantaggi rispetto a quelli che stiamo usando adesso?
Oltre a bloccare la trasmissione, i potenziali vantaggi dei vaccini intranasali, rispetto ai vaccini iniettati, includono la facilità di somministrazione, forse anche l'autosomministrazione.
"C'è molto interesse nell'uso di un vaccino intranasale in un contesto internazionale", ha detto in un'intervista Paul Spearman, direttore delle malattie infettive presso il Cincinnati Children's Hospital Medical Center. “La somministrazione è incredibilmente semplice. Devi solo spruzzarlo nel naso".
Inoltre, ha osservato Spearman, che è il ricercatore principale per una sperimentazione di fase 1 di un tale vaccino, la somministrazione intranasale sarebbe probabilmente un'opzione gradita per le persone che hanno la fobia degli aghi.
Che tipo di immunità ci dobbiamo aspettare dai vaccini nasali?
Uno studio recente condotto da Munster ha suggerito che un vaccino intranasale potrebbe indurre efficacemente entrambi i tipi di immunità (cioè sia quella di anticorpi nel sangue sia quella di anticorpi presenti sulle mucose).
Lui e i suoi coautori hanno confrontato la somministrazione intranasale con quella intramuscolare del vaccino Oxford/AstraZeneca nei criceti. Hanno scoperto che sia il vaccino intranasale sia quello iniettato hanno stimolato la produzione di alti livelli di anticorpi sistemici (cioè nel sangue) e che lo spray nasale ha persino suscitato livelli più elevati rispetto all'iniezione intramuscolare.
Gli scienziati hanno esposto i criceti vaccinati e non vaccinati al virus SARS-CoV-2 scoprendo che entrambe le vaccinazioni proteggevano gli animali dalla malattia grave rispetto all'assenza di vaccinazione.
Ma quanto siamo ancora lontani dall’applicazione di questi vaccini nell’uomo?
Il team di Munster ha studiato l’effetto del vaccino intranasale anche nelle scimmie (per la precisione in 4 scimmie del genere rhesus). I risultati hanno dimostrato che i livelli di anticorpi ottenuti erano simili a quelli osservati nelle persone che si erano riprese dal CoViD-19.
Dopo l'esposizione al virus SARS-CoV-2, le 4 scimmie vaccinate avevano meno virus nel naso e nel tessuto polmonare rispetto alle 4 scimmie non vaccinate. Nessuna delle scimmie vaccinate ha sviluppato sintomi di polmonite, mentre 3 scimmie non vaccinate lo hanno fatto.
I ricercatori dell'Università di Oxford stanno ora conducendo una sperimentazione preliminare del vaccino intranasale Oxford/AstraZeneca in volontari umani sani.
Ma come sono fatti questi vaccini nasali?
Il vaccino intranasale Oxford/AstraZeneca CoViD-19 utilizza un vettore costituito da adenovirus di scimpanzé, mentre il vaccino intranasale sperimentale in sviluppo dall’azienda CyanVac LLC utilizza come vettore il virus parainfluenzale 5 (PIV5), noto anche come virus della parainfluenza canina. Questo virus è già usato da anni come vettore nella prevenzione della tosse canina.
Il vaccino in sviluppo da parte di Meissa Vaccines utilizza, invece, il virus respiratorio sinciziale vivo attenuato (RSV) che è stato progettato per esprimere la proteina spike del SARS-CoV-2 al posto delle sue proteine di superficie. Una singola dose di questo vaccino ha protetto le scimmie verdi africane dall’infezione con SARS-CoV-2, riducendo il picco di presenza virale nel naso di oltre 200 volte.
Ciò che è promettente nell’animale di laboratorio funziona sicuramente anche nell’uomo?
Non sempre. L'unico studio, terminato, di fase 1 di un vaccino intranasale per prevenire la CoViD-19 non è stato all'altezza delle aspettative generate dagli studi sugli animali. Alla fine di giugno, la società produttrice ha annunciato che, in uno studio che ha coinvolto circa 80 volontari sani di età compresa tra i 18 e I 55 anni, il suo vaccino non ha stimolato una risposta immunitaria adeguata. Il vaccino era ben tollerato, con un profilo di eventi avversi simile a quello del placebo salino intranasale, ma l'entità della risposta immunitaria e la percentuale di partecipanti che hanno risposto erano sostanzialmente inferiori a quanto osservato con i vaccini iniettabili attualmente autorizzati (ad esempio quelli di Pfizer, Moderna o Astra/Zeneca).
Concludendo
Insomma non sappiamo se avremo mai a disposizione un vaccino intranasale che protegga dalla CoViD-19. Un vaccino del genere potrebbe rappresentare un progresso sia se somministrato in alternativa che in aggiunta ai vaccini oggi a disposizione. Intanto, anche se vaccinati, indossiamo la mascherina.