Cosa bisogna tenere a mente quando si deve somministrare un farmaco ad un bambino?
Il bambino non è banalmente “un piccolo adulto”, ma un soggetto in continua evoluzione con le specificità proprie delle varie età. Per questo, è necessario distinguere, all’interno della categoria ‘bambino’, almeno 4 sottopopolazioni, i neonati (a termine o prematuri), i lattanti, i bambini e gli adolescenti.
Ognuna di queste fasi della vita è caratterizzata da un continuo e progressivo sviluppo delle funzioni dell’organismo, che maturano fino a raggiungere gradualmente le condizioni dell’adulto.
Che cosa implica questa evoluzione per quel che riguarda l’uso dei farmaci?
È evidente che neonato, lattante e adolescente identificano situazioni fisiologiche molto differenti. È quindi altrettanto evidente che quando devo somministrare un farmaco a queste differenti tipologie di bambini debba prevedere conoscenze in vari campi, il primo dei quali è la preparazione di adeguate formulazioni (si pensi per un attimo alle difficoltà di somministrare un farmaco ad un neonato pretermine o al rendere semplice e gradevole l’assunzione di una medicina da parte di un bambino di 3 anni).
È poi altrettanto importante la conoscenza dei processi attraverso cui i farmaci vengono assorbiti (entrano cioè nella circolazione sanguigna dopo la somministrazione), di quelli che favoriscono la loro distribuzione nei vari organi e compartimenti dell’organismo e di come vengono metabolizzati ed eliminati. Naturalmente, è altrettanto importante sapere come interagiscono con i bersagli biologici per generare l’effetto terapeutico.
Tutti questi processi vanno incontro a modifiche fisiologiche durante le varie fasi della crescita, e determinano, di conseguenza, la necessità di adeguare le terapie alle diverse età. Oltretutto, una stessa malattia può avere manifestazioni molto diverse tra adulti e bambini, come ha dimostrato la recente pandemia di CoViD-19, e pertanto deve essere affrontata e curata sulla base della sua peculiarità.
Quindi ci sono farmaci "per bambini"?
Fino a poco tempo fa, era difficile avere a disposizione medicinali specifici ed esclusivi per l’uso nel bambino. Ciò deriva dal fatto che, generalmente, lo sviluppo di un farmaco prevede studi clinici effettuati sull’adulto (di norma sono “reclutati” volontari di età compresa tra 16-18 e 60-65 anni di età). Ciò accade per motivazioni etiche e per il fatto che il numero di soggetti arruolabili è spesso molto piccolo, soprattutto quando si parla di neonati.
Pertanto, i farmaci che, soprattutto in passato, venivano utilizzati nei bambini erano gli stessi farmaci che, con formulazioni sviluppate per gli adulti, venivano utilizzati con dosaggi inferiori, adeguandoli alle “dimensioni” del bambino da sottoporre a terapia. Questa modalità operativa prende il nome di off-label, e viene utilizzata in assenza di una specifica autorizzazione da parte degli Enti Regolatori o di evidenze scientifiche consolidate.
Negli anni, la procedura ha generato conoscenze e molti farmaci per adulti oggi sono usati efficacemente (significa che sono efficaci e sicuri). Ad esempio, è stato calcolato che il 65% dei farmaci utilizzati nelle terapie intensive neonatali è off-label e che circa il 95% dei neonati nelle terapie intensive è esposto ad almeno un farmaco off-label.
Capito. Ma si fa qualcosa per promuovere lo sviluppo dei medicinali da usare in pediatria?
Certo che si fa, anzi si sta facendo sempre di più. Dal 2007 è attivo il Regolamento Europeo relativo ai medicinali ad uso pediatrico, sviluppato dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), con l’obiettivo di migliorare la salute dei bambini, evitando di sottoporli a studi clinici non necessari ma, allo stesso tempo, senza ritardare l’autorizzazione dei medicinali.
In sostanza, il Regolamento Pediatrico ha reso obbligatorio lo studio dei farmaci sui bambini, garantendo che i medicinali utilizzati nella popolazione pediatrica siano oggetto di una ricerca etica di qualità elevata, di un'autorizzazione specifica per l'uso pediatrico e aumentando la disponibilità delle informazioni sull’uso nei bambini.
Ogni azienda farmaceutica che chieda all’EMA l’autorizzazione alla commercializzazione di un medicinale, deve includere i risultati degli studi condotti in pediatria per dimostrare la qualità, la sicurezza e l'efficacia del medicinale, in accordo con il cosiddetto Piano di Investigazione Pediatrica (PIP), a meno che l’EMA non abbia concesso un differimento o una deroga.
Negli ultimi anni sono state, inoltre, create iniziative per sviluppare la ricerca clinica in ambito pediatrico, come il Network iNCiPiT (Italian Network for Paediatric Clinical Trials) composto dai principali ospedali italiani pediatrici e istituti di ricerca e di cui la SIF è socio fondatore (oggi rappresentata dal suo past-President, prof. Alessandro Mugelli), ma anche campagne di comunicazione e sensibilizzazione, come quella portata avanti dall’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), per un utilizzo consapevole dei farmaci in pediatria e la promozione della ricerca clinica.
Esistono farmaci per patologie peculiari dell’età evolutiva?
Un discorso a parte deve essere fatto per quelle patologie tipiche del bambino, come quelle che determinano un ritardo nello sviluppo. Tra tutti ricordiamo i disturbi dello spettro autistico, caratterizzati da alterazioni del linguaggio, del pensiero e del comportamento, di varia gravità fino a forme notevolmente invalidanti, ma tutte caratterizzate da non avere ancora una adeguata terapia. C’è, ovviamente, molto da fare ancora per questa patologia e, prima di tutto, comprenderne le basi neurobiologiche per poter poi studiare medicinali efficaci.
Ricordiamo invece che, per altre malattie gravi del bambino, malattie considerate incurabili e mortali nei primi anni di vita come ad esempio l’atrofia muscolare spinale (SMA), la ricerca ha fatto passi importanti negli ultimi anni, portando all’autorizzazione di farmaci specifici. Il nusinersen e risdiplam sono farmaci che agiscono sulle molecole di RNA, stimolando la produzione della proteina SMN (la proteina mancante in questi bambini e responsabile della malattia), compensando la carenza determinata dalla mutazione del gene SMN1 (la causa della patologia).
Nusinersen è stato il primo tra questi farmaci ad essere autorizzato, seppure con l’inconveniente, non certo irrilevante, di dover essere somministrato per via intratecale, non avendo alcuna possibilità di raggiungere il bersaglio farmacologico se somministrato per le comuni vie di somministrazione (orale, sottocutanea endovenosa).
Più semplice è sicuramente la somministrazione di risdiplam, che avviene per via orale, ma il farmaco è stato per il momento autorizzato solo dall’autorità regolatoria americana (FDA), mentre i risultati degli studi a supporto della sua attività e sicurezza sono ancora in fase di valutazione in Europa.
Oltre questi due farmaci, è disponibile anche una terapia genica (Zolgesma®) che contiene una copia funzionale del gene SMN che, una volta iniettato nel soggetto malato, consente di produrre una quantità sufficiente della proteina necessaria per una corretta funzione nervosa.
Lo studio di questi medicinali è stato necessariamente effettuato in bambini, anche neonati, considerato che l’esordio della malattia nelle forme più gravi avviene precocemente dopo la nascita.
Di tutto questo si parlerà ampiamente nel corso di simposi, tavole rotonde e letture di esperti in occasione del prossimo 40° Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, dal 9 al 13 marzo 2021.