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Il Morbo di Crohn: come possiamo cercare di limitare i danni della malattia?

18 febbraio 2021

Il Morbo di Crohn: come possiamo cercare di limitare i danni della malattia?
Il morbo di Crohn (anche detto malattia di Crohn) è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che colpisce soprattutto noi che viviamo nella parte di mondo industrializzato. Al momento chi si ammala non può guarire ma una diagnosi precoce, un trattamento corretto e un’adeguata alimentazione aiutano il paziente a convivere con la malattia, controllando i sintomi.

Quali sono i sintomi del morbo di Crohn?

Il morbo di Crohn è caratterizzato da sintomi paragonabili a quelli di una diarrea persistente con dolori addominali, affaticamento e perdita di peso. In alcuni casi i sintomi non sono gravi e possono passare diversi anni prima della diagnosi della patologia. Altre volte, la malattia dà forti dolori addominali, determina debilitazione e, talvolta, può portare a complicanze che richiedono un intervento chirurgico.

Spesso, l'infiammazione causata dalla malattia di Crohn è presente nella parte terminale dell'intestino tenue e nel colon. Sebbene non esista una cura nota per la malattia di Crohn, le terapie possono ridurre notevolmente la sintomatologia e, in alcuni casi, riescono a fermare la malattia garantendo al paziente un lungo periodo di benessere (remissione a lungo termine)1 .

Come fa la terapia a combattere la malattia?

Le terapie utilizzate per questa patologia hanno lo scopo di “spegnere” l’infiammazione cronica intestinale, andando a modificare la funzione delle cellule del sistema immunitario e diminuire i fattori che contribuiscono all’infiammazione. Infatti, l'infiammazione del tratto gastrointestinale comporta 1) la contrazione dell’intestino e, quindi, dolore, 2) un ridotto assorbimento di alcune sostanze nutritive, 3) una ridotta funzione della barriera intestinale e 4) la crescita di batteri “aggressivi” nell’intestino che sostengono o addirittura peggiorano la patologia. Infine, il continuo stato infiammatorio porta l’intestino a perdere la normale elasticità e talvolta a formare dei restringimenti che devono essere eliminati tramite un intervento chirurgico.

Quindi, gli obiettivi principali della terapia sono: 1) controllare l’infiammazione e i sintomi, 2) raggiungere la remissione clinica  3) prevenire l’evoluzione della malattia che costringe ad un intervento chirurgico. Tutto questo rende migliore la qualità di vita del paziente.

Quali sono i farmaci più utilizzati?

La strategia terapeutica utilizzata da tanti anni ma ancora molto efficace si avvale di diversi tipi di farmaci ed è diversa in base alla localizzazione ed estensione della malattia, alla sua attività e al quadro clinico generale.

I tipi di farmaci usati sono:

- i corticosteroidi, come il desametasone, che diminuiscono l’attivazione del sistema immunitario e l’infiammazione e che solitamente sono usati per controllare gravi attacchi della patologia;

- i farmaci che sopprimono la risposta del sistema immunitario, detti immunosoppressori, come le tiopurine e il metotrexato, e che inducono la morte della gran parte dei linfociti T, responsabili dell’infiammazione, e presenti nell’intestino ma anche in altre parti dell’organismo;

- gli aminosalicilati (5-ASA/mesalazina e sulfasalazina), che agiscono direttamente sulla mucosa intestinale come anti-infiammatori diminuendo il rilascio da parte dell’intestino di sostanze che provocano e mantengono l’infiammazione.

Dato che le cellule dell’intestino funzionano male, in molti casi i batteri presenti normalmente nell’intestino fanno danni. Per questo motivo, vengono utilizzati degli antibiotici (fluorochinolonici, metronidazolo, rifaximina) che aiutano sia ad equilibrare la flora batterica, che a ridurre o eliminare le raccolte di batteri (ascessi) talvolta presenti nell’intestino.

Negli ultimi anni, ci sono stati progressi nel trattamento del Crohn?

Sì. Negli ultimi anni sono stati messi a punto dei farmaci “intelligenti” che possono essere utili nei pazienti con stato di malattia moderato-grave, che non rispondono più al trattamento con i farmaci di cui abbiamo detto prima. I farmaci “intelligenti” sono indicati col nome di farmaci biotecnologici e bloccano selettivamente le principali molecole responsabili dell’infiammazione.

Questi farmaci sono anticorpi, cioè molecole proteiche di grandi dimensioni che non penetrano all’interno della cellula e per tale motivo si distinguono dalla maggior parte dei farmaci “vecchi”. Purtroppo, anche questi nuovi farmaci possono diventare meno efficaci al passare del tempo. Uno dei motivi è la produzione, da parte dell’organismo, di anticorpi contro questi anticorpi.

I farmaci biotecnologici attualmente approvati sono adalimumab, infliximab, vedolizumab e ustekinumab.

Cosa fanno i farmaci biotecnologici usati per curare questa malattia?

Adalimumab e Infliximab sono anticorpi monoclonali usati da diverso tempo e diretti contro il fattore della necrosi tumorale (chiamato di solito TNF) una proteina che gioca un ruolo importante nello sviluppo e mantenimento dell’infiammazione. Quando questi anticorpi legano il TNF, gli impediscono di funzionare e, quindi, di determinare quella cascata di eventi che porta all’infiammazione. Adalimumab e Infliximab sono disponibili come penne pre-riempite o polvere per preparazioni iniettabili da ricostituire. È richiesta una somministrazione con cadenza bi-settimanale per Adalimumab con dosaggio ridotto dalla seconda settimana, mentre una singola somministrazione alle settimane 0 (cioè quando si inizia il trattamento), 2, 6 e poi ogni 8 settimane per Infliximab.

Ustekinumab è entrato in commercio più recentemente ed è un anticorpo monoclonale che lega l’interleuchina (IL-12 e IL-23). Anche a queste proteine è stato attribuito un ruolo importante nel determinare l’infiammazione. Ustekinumab è disponibile in concentrato per soluzione per infusione e in siringhe pre-riempite. È richiesta una dose all’inizio del trattamento (settimana 0), una successiva somministrazione dopo 8 settimane e, da quel momento in poi, una somministrazione ogni 12 settimane.

Vedolizumab è un anticorpo monoclonale che si lega selettivamente ad una proteina chiamata integrina α4β7 presente sulla superfice di un tipo di linfociti T che migrano nell’intestino e contribuiscono all’infiammazione. Quando l’anticorpo lega questa proteina impedisce la migrazione dei linfociti T verso l’intestino, riducendo l’infiammazione. Vedolizumab si presenta sotto forma di concentrato in polvere da ricostituire in acqua per preparazioni iniettabili. Come per Infliximab, è richiesta un’infusione endovenosa a 0, 2 e 6 settimane e, successivamente, ogni 8 settimane come terapia di mantenimento.

Ci sono altri farmaci interessanti in arrivo per curare ancora meglio questi pazienti?

Recentemente, due studi clinici di fase 3 (chiamati studio ADVANCE e studio MOTIVATE) hanno dimostrato che un altro anticorpo monoclonale, chiamato risankizumab, è efficacie nel trattamento di questa malattia2. L’anticorpo funziona in modo simile a ustekinumab ma è diretto solo contro IL-23 e funziona anche nei pazienti che hanno una risposta inadeguata agli altri trattamenti o hanno effetti avversi.

Che effetti indesiderati danno i farmaci usati nel trattamento del morbo di Crohn?

Come abbiamo visto, quasi tutti i farmaci usati per il trattamento di questa patologia (corticosteroidi, immunosoppressori e farmaci biotecnologici) hanno azione immunosoppressiva. Per cui è possibile che determinino un abbassamento delle difese immunitarie e quindi un aumento delle infezioni.

Inoltre, i corticosteroidi, soprattutto quando dati per lungo tempo, determinano insonnia, instabilità emotiva, aumento di peso e dell'appetito, iperglicemia, miopatie, osteoporosi, atrofie cutanee. Proprio per diminuire la possibilità che si presentino questi effetti avversi, i corticosteroidi sono dati per periodi di tempo determinato (chiamati cicli).

Anche i farmaci biotecnologici danno una serie di effetti avversi. Gli effetti indesiderati descritti più frequentemente sono infezioni del tratto respiratorio superiore, generalmente non gravi, stanchezza, mal di testa e nausea. Raramente determinano reazioni allergiche. Come detto prima, in alcuni casi può verificarsi la produzione di anticorpi diretti contro il farmaco stesso che possono aumentare la probabilità di insorgenza di reazioni avverse e ridurre l'efficacia del farmaco.

Ad oggi, la terapia con i farmaci biotecnologici non è quella prescritta al paziente non appena viene fatta la diagnosi per due motivi: 1) la possibilità che diano affetti avversi, sia nel breve che nel lungo periodo (studi sono in corso per capire di che tipo siano e se siano gravi), 2) il costo elevato.

L’alimentazione incide nella patologia? Che dieta seguire?

Chi soffre di morbo di Crohn deve sapere che non solo i farmaci ma anche l’alimentazione è molto importante. Un'alimentazione sana è importante per due motivi: 1) evitare la malnutrizione conseguente alla patologia e, quindi, gli effetti della malnutrizione, 2) evitare di peggiorare o, addirittura, scatenare la malattia. In particolare, una dieta ricca di frutta e verdura, arricchita di acidi grassi omega-3 e a basso contenuto di omega-6 è associata a un rischio ridotto di sviluppo della patologia e perciò viene raccomandata2.

 

Riferimenti bibliografici e sitografici:

1 Roda, G., Chien Ng, S., Kotze, P.G. et al. Crohn’s disease. Nat Rev Dis Primers 6, 22 (2020). https://doi.org/10.1038/s41572-020-0156-2

2 https://news.abbvie.com/news/press-releases/risankizumab-skyrizi-demonstrates-significant-improvements-in-clinical-remission-and-endoscopic-response-in-two-phase-3-induction-studies-in-patients-with-crohns-disease.htm

3 ESPEN practical guideline Clinical Nutrition in inflammatory bowel disease. Clinical Nutrition 39 (2020) 632-653.

 

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