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Gabesato: un farmaco che aggredisce tre volte il SARS-CoV-2

20 aprile 2020

Gabesato: un farmaco che aggredisce tre volte il SARS-CoV-2
Il gabesato, un farmaco in grado di ridurre la produzione di citochine infiammatorie e usato per la pancreatite acuta e la coagulazione intravascolare disseminata, può rappresentare uno strumento importante per trattare i pazienti affetti da COVID-19 agendo su tre bersagli contemporaneamente.

Perché il gabesato è una molecola promettente?

La pandemia da SARS-CoV-2 rappresenta oggi una delle preoccupazioni più importanti per la salute pubblica. Gli scienziati sono impegnati nella ricerca di farmaci specifici e di un vaccino efficace. Nel frattempo è importante identificare terapie efficaci tra i farmaci già in uso clinico (riposizionamento dei farmaci).

Finora è stato proposto l’uso off-label di molti farmaci (es. idrossiclorochina, tocilizumab, remdesivir) con risultati la cui efficacia e tollerabilità sono in corso di valutazione. Il gabesato si distingue dai farmaci sopramenzionati per una caratteristica unica: può agire sul virus con tre diversi meccanismi che potrebbero garantire un effetto più rapido e più efficace.

Infatti, grazie alle sue proprietà farmacologiche, il farmaco agisce sia sulla replicazione virale sia sulle manifestazioni patologiche conseguenti all’infezione virale (infiammazione e coagulazione).

Quali sono le importanti proprietà farmacologiche del gabesato?

Utilizzato nella forma di gabesato mesilato, il farmaco è utile nel trattamento della pancreatite, della coagulazione intravasale disseminata (CID) e come anticoagulante nell'emodialisi. Il meccanismo grazie al quale il gabesato agisce consiste nell’inibire enzimi capaci di tagliare le proteine, noti col nome di proteasi.

Oggi sappiamo che una proteasi prodotta dalle nostre cellule e denominata TMPRSS2 è fondamentale per permettere l’entrata del virus SARS-CoV-2 nella cellula.

Infatti, il virus si attacca alle cellule polmonari tramite una proteina presente sulla superficie del virus, chiamata “spike”, cioè punta, che riconosce un’altra proteina presente sulla superficie delle nostre cellule.

Una volta attaccato alla cellula, il virus ha bisogno di entrare dentro la cellula per infettarla.

Qui entra in gioco la proteasi TMPRSS2 che, suo malgrado, “collabora” col virus, tagliando un pezzo della proteina "spike" in modo che questa possa fare un “buco” sulla superficie della cellula attraverso il quale passa l’RNA del virus.

È così che l’RNA del virus può entrare dentro le nostre cellule e usarle per moltiplicarsi. In definitiva, sembra ragionevole ritenere che l’inibizione di TMPRSS2 possa impedire a SARS-CoV-2 di infettare la cellula.

A conferma di questa ipotesi, alcuni ricercatori tedeschi, utilizzando virus SARS-CoV-2 prelevato da un paziente, hanno testato il camostat, una molecola molto simile al gabesato, che inibisce la proteasi e che è risultato bloccare la replicazione del virus nelle cellule polmonari.

Dunque, il gabesato potrebbe inibire la replicazione del virus SARS-CoV-2.

Questo farmaco è anche in grado di sopprimere la via di segnalazione del fattore nucleare kappa-B (NF-kB) e di ridurre la sintesi e produzione di citochine infiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-a) e l’interleuchina 6 (IL-6, contro il cui recettore agisce il tocilizumab), risultando pertanto utile nel controllo della risposta infiammatoria che contribuisce in maniera sostanziale al peggioramento della patologia da COVID-19.

Un ulteriore meccanismo del gabesato, non meno rilevante, è la sua attività antiaggregante e anticoagulante.

Oggi sappiamo che molti pazienti affetti dall’infezione COVID-19 vanno incontro a importanti fenomeni tromboembolici (da qui il suggerimento di usare un anticoagulante come l’enoxaparina).  

In caso di fenomeni tromboembolici, che limitano l’afflusso di sangue nel tessuto polmonare, l’assistenza ventilatoria probabilmente non produce un miglioramento delle condizioni cliniche perché il sangue non circola nei polmoni e non è in grado di caricarsi dell’ossigeno, così che il paziente peggiora rapidamente e muore.

Dunque, anche per le sue proprietà anticoagulanti il gabesato può fornire un ulteriore beneficio ed evitare l’esito fatale.

Ma il gabesato può prevenire la necessità di terapia intensiva nei pazienti più gravi?

Si, questo è quanto gli specialisti auspicano di ottenere con questo farmaco. Per avere il massimo degli effetti utili, il gabesato dovrebbe essere somministrato entro 48 ore dall’inizio dei sintomi più rilevanti (febbre alta, problemi respiratori), ovvero prima che il danno polmonare progredisca verso le fasi più gravi.

In questo modo si aiuta il paziente a controllare la patologia riducendo le probabilità di un ricovero in terapia intensiva.

La parola ora agli studi clinici

Abbiamo a disposizione un farmaco che potenzialmente blocca una delle tappe della replicazione del virus nelle cellule, ha un’importante attività antiaggregante e anticoagulante ed infine una marcata attività antiinfiammatoria.

L’ipotesi che queste proprietà del gabesato possano essere utili nella COVID-19 dovrà essere verificata da opportuni studi clinici e, quindi, si sta valutando la possibilità di avviare la sperimentazione presso alcuni ospedali italiani.

 

Riferimenti bibliografici:

Hoffmann M, Kleine-Weber H, Schroeder S, Krüger N, Herrler T, Erichsen S, Schiergens TS, Herrler G, Wu NH, Nitsche A, Müller MA, Drosten C, Pöhlmann S. SARS-CoV-2 Cell Entry Depends on ACE2 and TMPRSS2 and Is Blocked by a Clinically Proven Protease Inhibitor. Cell. 2020 Mar 4. pii: S0092-8674(20)30229-4. doi: 10.1016/j.cell.2020.02.052.

 

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