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Acidi grassi omega-3: servono o sono inutili per prevenire le malattie cardiovascolari?

10 dicembre 2020

Acidi grassi omega-3: servono o sono inutili per prevenire le malattie cardiovascolari?
Per la salute dell’apparato cardiovascolare, le linee guida raccomandano di aumentare il consumo di cibi ricchi di “omega-3” e, talvolta, la loro assunzione come preparazioni specifiche. Ciò ha portato ad un ampio e diffuso utilizzo di prodotti che li contengono, perlopiù integratori, che sono venduti anche senza obbligo di prescrizione medica. Chi sono gli omega-3 e quali le evidenze scientifiche che supportano la loro reale o presunta utilità terapeutica?

Cosa sono gli acidi grassi omega-3

Gli omega-3 sono acidi grassi polinsaturi essenziali. Essi svolgono varie e importanti funzioni nell’organismo il quale, non essendo in grado di sintetizzarli, deve assumerli attraverso la dieta. Il mare fornisce alimenti ricchi di omega-3, sono infatti presenti nel pesce (soprattutto nel pesce azzurro: sgombri, sardine, acciughe…), nei suoi derivati (olio di pesce) e in alcune microalghe.

Anche il mondo vegetale offre diverse fonti di questi acidi grassi che si trovano nella frutta a guscio (noci e mandorle) e in alcuni semi, come quelli di girasole, lino, chia e canapa.

Esistono diversi tipi di acidi grassi omega-3, che si differenziano per le caratteristiche chimiche. L’acido alfa-linolenico (ALA) è probabilmente uno dei più conosciuti e si trova nei semi di lino e di chia, ma quelli di cui vogliamo parlare qui sono l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA) e, in particolare, della loro relazione con la prevenzione del rischio di malattie cardiovascolari.

Come è cominciata la storia tra omega-3 e malattie cardiovascolari?

Negli ultimi 50 anni, EPA e DHA sono stati oggetto di numerosi studi clinici in ambito cardiovascolare. L’interesse verso EPA e DHA nacque negli anni ’70 quando due ricercatori danesi osservarono un’incidenza molto bassa di malattia cardiovascolare coronarica nella popolazione eschimese della Groenlandia, in confronto a quella rilevata nella popolazione danese: essi attribuirono l’origine di questa differenza alla particolare dieta eschimese, basata su cibi ricavati da foca e balena, molto ricca in acidi grassi omega-3.1,2

Anche il consumo regolare di pesce, un paio di volte a settimana, fu associato a un ridotto rischio di complicanze da malattie cardiovascolari.3

Un inizio incoraggiante

Queste prime osservazioni stimolarono l’interesse dei ricercatori a valutare se gli acidi grassi omega-3 fossero cardioprotettivi in studi clinici progettati e condotti secondo le regole rigorose della ricerca scientifica. Lo studio principale fu condotto dal “Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’infarto miocardico” e dimostrò un beneficio cardiovascolare in soggetti che ricevevano una capsula di 1 g/die a base di EPA e DHA per la durata di 3 anni e mezzo.4

Sulla base dei risultati positivi ottenuti con queste ricerche, gli acidi grassi omega-3 furono autorizzati, in associazione con altri medicinali, per “prevenire la ricorrenza di problemi cardiaci e circolatori in pazienti che avevano avuto un infarto del miocardio” e messi in commercio nell’Unione Europea nel 2000 con numerosi nomi commerciali registrati.

Poi alcune delusioni e una storia di alti e bassi

In seguito, però, studi clinici più ampi e numerose rivalutazioni e revisioni critiche degli stessi fallirono nel riprodurre questi incoraggianti risultati, anche se altri studi continuavano a confermare un effetto positivo. La situazione era confusa e un certo scetticismo ha cominciato a serpeggiare nella comunità scientifica, insinuando il dubbio se gli acidi grassi omega-3 potessero essere utili o meno nei pazienti che avevano avuto un infarto del miocardio.

Questa grande confusione può essere attribuita a diversi fattori, dovuti alla progettazione e conduzione dello studio clinico, ai diversi tipi, formulazioni e dosi di supplementi a base di acidi grassi omega-3 utilizzati, alle diverse caratteristiche dei pazienti, al fatto che nel tempo la gestione e la cura delle malattie cardiovascolari si è evoluta e gli interventi terapeutici di oggi, con farmaci spesso molto attivi, non sono paragonabili a quelli di cui disponevamo 20 anni fa.

Le decisioni dell’agenzia regolatoria europea (EMA)

L’efficacia degli acidi grassi omega-3 nel prevenire la ricorrenza dei problemi cardiaci e circolatori in chi ha avuto un infarto del miocardio non è stata confermata. Una conclusione dell’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) del marzo 2019 afferma che il rapporto rischi/benefici dei medicinali contenenti acidi grassi omega-3 per uso orale nella prevenzione secondaria dopo infarto miocardico non sia favorevole.5

Questa decisione è stata presa dopo una rivalutazione di tutti i dati disponibili accumulati negli anni sui medicinali a base di EPA e DHA e ha portato a una modificazione delle indicazioni nell’autorizzazione all’immissione in commercio: ciò significa che i medicinali che contengono un’associazione di EPA e DHA non devono più essere usati con questa indicazione. Tuttavia possono ancora essere utilizzati per ridurre i livelli di alcuni tipi di grassi presenti nel sangue, chiamati trigliceridi, anch’essi coinvolti in patologie cardiovascolari.

E dopo cosa è successo? A che punto siamo ora?

Dopo la decisione dell’EMA, due ulteriori studi clinici hanno avuto, ancora una volta, risultati contrastanti.

Il primo ha misurato una discreta riduzione del rischio di complicanze cardiovascolari in pazienti che avevano assunto una terapia a base di statine e un preparato a base di acidi grassi omega-3, registrando però anche seri eventi avversi costituiti da episodi di sanguinamento e da eventi di fibrillazione atriale.6

L’aumento degli episodi di fibrillazione atriale è stato osservato anche nel secondo studio che, inoltre, ha fornito una forte evidenza che la combinazione EPA +DHA nella prevenzione delle malattie cardiovascolari aterosclerotiche non riduce il rischio di eventi correlati (ad es. infarto del miocardio e ictus).7

Questi ultimi studi, unitamente ad altri che non hanno dimostrato una riduzione del rischio cardiovascolare, devono costituire un elemento di riflessione sull’uso molto diffuso di prodotti a base di acidi grassi omega-3, disponibili senza prescrizione medica, dal momento che manca una chiara e inequivocabile evidenza di utilità clinica.

Conclusioni

Quasi sempre, alla base delle malattie cardiovascolari c’è un disordine dello stile di vita. Pertanto, le prime misure che devono essere intraprese consistono in una correzione delle abitudini quotidiane (adeguata alimentazione e attività fisica, abolizione del fumo, dell’alcol, etc…).

Gli acidi grassi omega-3 possono migliorare il quadro metabolico; i risultati degli studi preclinici dicono che essi esercitano effetti favorevoli sul metabolismo delle lipoproteine e sui fattori infiammatori, ossidativi, trombotici e aritmogeni, implicati nelle malattie cardiovascolari.8,9

Queste attività da sole, però, non bastano perché è fondamentale e imprescindibile che esse siano correlate e si traducano, per il paziente, in una riduzione del rischio di sviluppare eventi legati alle malattie cardiovascolari quali: infarto del miocardio, ictus, ospedalizzazione per angina instabile o rivascolarizzazione coronarica.

Al momento la scienza è ancora nebulosa al riguardo e non permette di rispondere in maniera chiara e univoca alla domanda posta all’inizio, ovvero se gli acidi grassi omega-3 possano costituire un aiuto per prevenire il rischio di malattie cardiovascolari. È necessario continuare a lavorare attraverso una rigorosa ricerca per arrivare a fornire le evidenze ai clinici e ai pazienti riguardo gli effetti e potenzialità degli acidi grassi omega-3 sui principali eventi cardiovascolari.

Nel frattempo è bene avere chiaro che l’assunzione di questi prodotti di libera vendita non è priva di rischi e può essere associata a seri eventi collaterali, come evidenziato dai due recentissimi studi sopra citati, e che la loro eventuale assunzione deve essere discussa, concordata e raccomandata insieme al proprio medico di base e ancor di più con lo specialista.

 

Riferimenti bibliografici e sitografici

1 Lancet 1971; 297: 1143-6. Doi: 10.1016/S0140-6736(71)91658-8
2 Lancet 1978; 8081: P117-9. Doi: 10.1016/S0140-6736(78)91505-2
3 NEJM 1985; 312: 1205-9. Doi: 10.1056/NEJM198505093121901
4 Lancet 1999; 354: 447-455. Doi: 10.1016/S0140-6736(99)07072-5
5 https://www.ema.europa.eu/en/documents/referral/omega-3-acid-ethyl-esters-annex-ii_it.pdf
6 NEJM 2019; 380: 11-22 Doi: 10.1056/NEJMoa1812792
7 JAMA 2020; online ahead of print. Doi: 10.1001/jama.2020.22258
8 J. Am Coll. Cardiol. 2009; 54: 585-94. Doi: 10.1016/j.jacc.2009.02.084
9 J. Am. Coll. Cardiol. 2011; 58: 2047-67. Doi: 10.1016/j.jacc.2011.06.063

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