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Il rebus della malattia di Alzheimer e delle terapie presenti e future

5 agosto 2021

Il rebus della malattia di Alzheimer e delle terapie presenti e future
La malattia di Alzheimer è una delle principali malattie neurodegenerative caratterizzate dalla lenta e progressiva perdita delle funzionalità del sistema nervoso centrale. Le manifestazioni cliniche provocate dalla malattia di Alzheimer sono rappresentate da alterazioni della memoria, disturbi cognitivi e comportamentali. Anche se oggetto di forte interesse da parte di tutto il mondo scientifico, manca ancora una terapia adeguata e la maggior parte dei trattamenti disponibili, pur alleviando i sintomi, non sono in grado di arrestare la progressione di tale patologia.

Una malattia identificata più di un secolo fa

Il Dottor Alois Alzheimer studiò per gran parte della sua vita l’anatomia e le patologie del SNC e, nel 1906, descrisse per primo un’insolita forma di demenza riscontrata nella paziente Auguste Deter che soffriva di perdita di memoria, disorientamento e allucinazioni.

Nel 1910 il Dottor Emil Kraepelin definì questa condizione patologica con il nome di “Malattia di Alzheimer”. Ancora oggi è la più frequente malattia neurodegenerativa con oltre 47 milioni di casi nel mondo e più di un milione in Italia.

I pazienti affetti da malattia di Alzheimer manifestano una marcata perdita del linguaggio, della memoria e delle funzioni cognitive, con conseguenze molto invalidanti che arrivano fino all’incapacità di svolgere le normali attività quotidiane.

Le aree cerebrali lese mostrano caratteristiche molto peculiari, quali la presenza di grovigli neurofibrillari, all’interno dei neuroni, imputabili all’iperfosforilazione della proteina tau, e placche neuritiche correlate all’accumulo della proteina beta-amiloide (Aβ).

Ecco i principali fattori di rischio della malattia di Alzheimer

I principali fattori di rischio possono essere divisi in non modificabili e modificabili.

L’età è il più importante tra i fattori di rischio non modificabili. Infatti, numerosi studi hanno stimato che circa il 15% dei pazienti ha un’età compresa tra i 65 e 74 anni, mentre il 44% tra i 75 e 84 anni. Anche la presenza di casi di malattia nella storia familiare è un fattore di rischio non modificabile: infatti, individui con parenti di primo grado affetti da malattia di Alzheimer presentano un rischio più elevato di sviluppare la patologia. L’eredità genetica ha quindi un ruolo non trascurabile nello sviluppo della malattia, insieme allo stile di vita e ai fattori ambientali.

I fattori di rischio modificabili sono quelli legati allo stile di vita dell’individuo. Ad esempio, le malattie cardiovascolari sono un fattore di rischio strettamente associato allo sviluppo della malattia di Alzheimer. Un cuore in salute garantisce che il sangue sia pompato efficacemente attraverso i vasi sanguigni, e l’integrità di questi ultimi permette che il cervello riceva sangue ricco di nutrienti e di ossigeno che gli permettono di funzionare in maniera adeguata.

Di conseguenza, i fattori di rischio per le malattie cardiovascolari sono anche associati ad un incremento di rischio per la malattia di Alzheimer. Tra questi consideriamo principalmente il fumo, l’abuso di alcool, il diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia e l’ipertensione nella terza età, soprattutto se non controllata. Si è visto infatti, che terapie con farmaci antiipertensivi e/o ipolipemizzanti, soprattutto statine, agiscono ritardando lo sviluppo della patologia.

Un altro fattore di rischio importante viene identificato negli eventi traumatici acuti. Diversi studi hanno dimostrato che traumi cranici, sia severi che moderati, aumentano il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer: rispetto ad individui che non hanno subito alcun trauma cranico, il rischio raddoppia nel caso di un trauma cranico moderato, mentre aumenta di 4,5 volte in presenza di un trauma cranico severo.

Esistono fattori che riducono il rischio di insorgenza della malattia di Alzheimer?

Fortunatamente vi sono anche diversi fattori che riducono il rischio; tra questi una regolare attività motoria e mentale che mantenga attivo il cervello. Alcuni studi hanno dimostrato che le attività che richiedono uno sforzo mentale, come ad esempio, leggere, ricamare, ballare, suonare e fare giardinaggio sono protettive nei confronti dello sviluppo della malattia. Le informazioni circa gli effetti della dieta sulla riduzione del rischio per la malattia di Alzheimer sono invece limitate e contradditorie.

Qual è la terapia standard per il trattamento della Malattia di Alzheimer?

Si sa che nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer la presenza del neurotrasmettitore acetilcolina è fortemente ridotta a livello delle sinapsi del SNC. Per potenziare l’azione dell’acetilcolina vengono usati degli inibitori dell’enzima acetilcolinesterasi la cui funzione è quella di degradare questo neurotrasmettitore alla fine della sua funzione. In questo modo si ripristinano livelli adeguati di acetilcolina che può funzionare più a lungo.

I farmaci in grado di inibire l’acetilcolinesterasi sono donepezil, rivastigmina e galantamina e rappresentano la terapia di prima linea per il trattamento della malattia di Alzheimer da media a moderata. Molteplici studi hanno evidenziato una simile efficacia di questi farmaci e gli effetti indesiderati più comuni sono nausea, vomito, diarrea, disturbi cardiovascolari e neurologici.

Gli effetti avversi sono direttamente correlati con la dose e la via di somministrazione; per esempio, la rivastigmina somministrata mediante cerotto transdermico è meglio tollerata rispetto alla sua somministrazione per via orale.

Altri farmaci invece inibiscono l’azione del neurotrasmettitore glutammato

Nella malattia di Alzheimer, si è osservata anche una persistente attivazione di un recettore chiamato NMDA attivato dal neurotrasmettitore glutammato. Quando il glutammato interagisce con NMDA si apre un canale che permette il momentaneo flusso di ioni calcio in entrata nel neurone. Se però l’ingresso di ioni calcio nella cellula è continuo, si verifica una persistente eccitazione che porta a tossicità neuronale (nota con il termine di eccitotossicità) e morte cellulare.

La memantina è un antagonista non competitivo del recettore NMDA per il glutammato. La memantina agisce inserendosi nel canale, bloccando il recettore in fase di riposo ed evitando la stimolazione persistente e la conseguente eccitotossicità. Tuttavia, in caso di arrivo di un impulso fisiologico, le alte concentrazioni di glutammato superano il blocco da memantina e la trasmissione fisiologica non viene compromessa. Il trattamento farmacologico con memantina è associato alla riduzione dello stress ossidativo oltre che al miglioramento dell’apprendimento, della memoria e della funzione sinaptica.

Questo farmaco è indicato per il trattamento di prima linea della malattia di Alzheimer da moderata a severa. Nella maggior parte dei casi è un farmaco ben tollerato e viene utilizzato anche in associazione con gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, in modo da agire sui due fronti, inibendo l’eccessiva attività del glutammato da un lato e stimolando quella dell’acetilcolina dall’altro.

La novità tanto chiacchierata…ADUCANUMAB

Il 9 giugno 2021 l’FDA ha approvato un nuovo farmaco contro l’Alzheimer, l’anticorpo monoclonale aducanumab. Questa approvazione arriva dopo un’attesa di vent’anni senza alcun farmaco nuovo per questa patologia ed è sicuramente fonte di speranza per i milioni di pazienti affetti da questa patologia e le loro famiglie.

L’FDA ha approvato aducanumab poiché sembra essere il primo farmaco in grado di rallentare il declino cognitivo della malattia di Alzheimer se somministrato nelle fasi precoci della patologia. La decisione è stata presa nonostante l'opposizione della commissione indipendente di esperti dell’FDA e di altri esperti in materia di Alzheimer secondo i quali non ci sono prove sufficienti che dimostrino che il farmaco possa davvero aiutare i pazienti.

Ciò ha portato a un’approvazione di tipo “condizionato” da parte dell'FDA, cioè il farmaco è stato momentaneamente approvato ma FDA ha richiesto all'azienda produttrice di condurre una nuova sperimentazione clinica per acquisire nuovi dati a sostegno dell’attività di questo farmaco alla luce dei quali confermerà o meno l’approvazione.

Il meccanismo di azione di aducanumab sembra essere collegato alla sua capacità di attaccare e distruggere la proteina beta-amiloide (Aβ) che si accumula a livello cerebrale nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer. La rimozione degli aggregati proteici potrebbe ridurre anche i danni cerebrali ad essi associati.
Trattandosi di un anticorpo monoclonale la terapia consiste in una somministrazione per via parenterale, in questo caso per via endovenosa, una volta al mese.

Ancora tanta ricerca è necessaria.

Attualmente ci sono circa 126 composti in fase di studio per la malattia di Alzheimer in trial clinici, dei quali 28 si trovano nella fase più avanzata, la fase 3. La maggior parte di questi composti interferisce con processi patologici ritenuti peculiari della malattia di Alzheimer.

Nonostante il processo di sviluppo di farmaci e la loro immissione in commercio sia molto lungo e costoso e richieda l’arruolamento corretto di pazienti, l’utilizzo di biomarcatori ed investimenti pubblici e privati, la sfida per contrastare questa malattia così invalidante continua ad essere affrontata con il massimo impegno e fiducia per trovare farmaci nuovi ed efficaci.

 

Riferimenti bibliografici e sitografici:

Alzheimer’s Association. 2021 Alzheimer’s disease facts and figures. Alzheimer’s Dement. 2021;17:327–406.

Therapeutics | ALZFORUM. Available at: https://www.alzforum.org/therapeutics. (Accessed: 28th November 2020)

https://www.fda.gov/drugs/news-events-human-drugs/fdas-decision-approve-new-treatment-alzheimers-disease

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